Discussione:
La benevolenza dei grandi produttori.
(troppo vecchio per rispondere)
Marco V.
2024-02-21 21:10:05 UTC
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Qual è la migliore argomentazione a favore del libero mercato, cioè di
quella situazione in cui i produttori privati sono liberi (sotto certe
regole) di piazzare le loro mercanzie? Presto detto, è ancora quella di
Adam Smith:
<<Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del
fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno
cura del loro interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al
loro egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei
loro vantaggi. Nessuno che non sia un mendicante sceglie mai di
dipendere soprattutto dalla benevolenza dei suoi concittadini, e pesino
un mendicante non dipende esclusivamente da essa>>
[da "La ricchezza delle nazioni"].
Eppure oggi i *grandi* produttori, il cui mercato si estende quanto
l'umanità (in particolare, perciò, i giganti del web; ad esempio
Google) destinano ingenti risorse economiche, superiori a quelle di cui
dispongono le nazioni più piccole, alla cosiddetta "beneficenza". Su
che cosa questo significhi e sul perché lo facciano non esistono
certezze ma solamente interrogativi, come spesso accade quando si
prendono in considerazione i fini dell'agire altrui (e a volte anche i
propri). Quello che però importa è che questa condotta tende a generare
una rappresentazione del capitalismo in base alla quale "il nostro
pranzo" - cioè, in senso allargato, il benessere sociale - viene
precisamente a dipendere dalla benevolenza dei produttori, in
contraddizione con l'immagine fissata da Adam Smith. Per respingere
questa conclusione dovremmo cambiare la descrizione di quella condotta,
sostituendo il termine "beneficenza" (ed equivalenti), connotato
altruisticamente, con qualche altro riconducibile all'"egosimo del
macellaio" e al contempo in grado di esprimere la finalità ultima. Ma
anche con questa sostituzione, la condotta rimarrebbe dipendente dalla
apparenza della sua finalità benefica: i grandi produttori avrebbero
bisogno che la gente creda che stanno facendo beneficenza, e questo
rimarrebbe ancora senza spiegazione. Dobbiamo allora concludere che i
grandi produttori ci hanno messi nella posizione di mendicanti? Ma poi,
possiamo davvero considerare "concittadini" questi produttori dalla cui
benevolenza solamente il mendicante vorrebbe dipendere?

Saluti a tutti,

Marco
posi
2024-02-22 15:55:15 UTC
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Dobbiamo allora concludere che i grandi produttori ci hanno
messi nella posizione di mendicanti? Ma poi, possiamo davvero
considerare "concittadini" questi produttori dalla cui benevolenza
solamente il mendicante vorrebbe dipendere?
Per misurare la cosiddetta "beneficenza" dei grandi produttori, non puoi
confrontarla con le risorse delle nazioni più piccole: non ha senso.
Devi confrontarla col fatturato dell'azienda.

A quel punto vedrai che è solo una parte, direi forse anche piuttosto
marginale, delle risorse destinate al marketing.

Quindi i produttori non ci hanno messo da nessuna parte. Semmai siamo
*noi* che ci mettiamo nella posizione di mendicanti, perché scegliamo di
esserlo e vogliamo esserlo.

I produttori *sono* concittadini: ne hanno pieno diritto, e non possiamo
fare altro che considerarli tali. Ciò che dobbiamo decidere, semmai, è
cosa vogliamo essere noi: possiamo decidere di essere mendicanti, e
facendo affidamento sulla benevolenza altrui, oppure di essere cittadini
e guadagnarci il pane lavorando. Tutto ciò senza alcun bisogno di
chiamare le cose con nomi diversi.
Marco V.
2024-03-02 09:13:06 UTC
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Post by posi
Dobbiamo allora concludere che i grandi produttori ci hanno messi nella
posizione di mendicanti? Ma poi, possiamo davvero considerare
"concittadini" questi produttori dalla cui benevolenza solamente il
mendicante vorrebbe dipendere?
Per misurare la cosiddetta "beneficenza" dei grandi produttori, non puoi
confrontarla con le risorse delle nazioni più piccole: non ha senso. Devi
confrontarla col fatturato dell'azienda.
Non sono d'accordo. Questo è un rassicurante punto di vista "interno" a
una logica, che ne impedisce una valutazione esterna. Un altro modo per
risponderti, in linea con il primo, è che non si tratta di *misurare*
la beneficenza filantropica dei grandi produtti privati, ma di darne
una valutazione. Ma si può conservare la parola, dicendo che si tratta
proprio di *misurarla*, ma secondo criteri e unità di misura esterni.
Se questa operazione di "misura" spaventa qualcuno, pazienza. In ogni
caso l'immagine di Smith sembra divenuta proprio inadeguata.
Post by posi
A quel punto vedrai che è solo una parte, direi forse anche piuttosto
marginale, delle risorse destinate al marketing.
Quindi i produttori non ci hanno messo da nessuna parte. Semmai siamo *noi*
che ci mettiamo nella posizione di mendicanti, perché scegliamo di esserlo e
vogliamo esserlo.
I produttori *sono* concittadini: ne hanno pieno diritto, e non possiamo fare
altro che considerarli tali. Ciò che dobbiamo decidere, semmai, è cosa
vogliamo essere noi: possiamo decidere di essere mendicanti, e facendo
affidamento sulla benevolenza altrui, oppure di essere cittadini e
guadagnarci il pane lavorando. Tutto ciò senza alcun bisogno di chiamare le
cose con nomi diversi.
Lavorando come? Come dipendenti dei grandi produttori che fanno
beneficenza "umanitaria"?
posi
2024-03-02 13:09:18 UTC
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Post by Marco V.
Post by posi
Dobbiamo allora concludere che i grandi produttori ci hanno messi
nella posizione di mendicanti? Ma poi, possiamo davvero
considerare "concittadini" questi produttori dalla cui
benevolenza solamente il mendicante vorrebbe dipendere?
Per misurare la cosiddetta "beneficenza" dei grandi produttori, non
puoi confrontarla con le risorse delle nazioni più piccole: non ha
senso. Devi confrontarla col fatturato dell'azienda.
Non sono d'accordo. Questo è un rassicurante punto di vista "interno"
a una logica, che ne impedisce una valutazione esterna. Un altro modo
per risponderti, in linea con il primo, è che non si tratta di
*misurare* la beneficenza filantropica dei grandi produtti privati,
ma di darne una valutazione. Ma si può conservare la parola, dicendo
che si tratta proprio di *misurarla*, ma secondo criteri e unità di
misura esterni. Se questa operazione di "misura" spaventa qualcuno,
pazienza. In ogni caso l'immagine di Smith sembra divenuta proprio
inadeguata.
Non è che mi spaventi: lo trovo solo un po' ingenuo. Il mio "non puoi" o
"devi" non è da intendersi in senso morale.

Tu *puoi* esaltare la forza di una formica che riesce a sollevare
oggetti fino a 100 volte il proprio peso, così come *puoi* evidenziare
la sua debolezza sottolineando che sei in grado di schiacciarla in mezzo
secondo, a seconda della narrazione che hai deciso di fare e che sei
libero di fare per argomentare le tue tesi.

Puoi benissimo mettere a confronto la beneficenza di un marchese con
l'intero PIL di una piccola città stato. Puoi fingere di meravigliarti
delle enormi disuguaglianze che possono esserci in un paese, e lasciarti
anche un po' di meraviglia per le disuguaglianze ancora più grandi che
escono quando i confronti li fai su scala mondiale.

Ma in che modo pensi di collegare questo legittimo senso di meraviglia
con la tesi secondo cui "l'immagine di Smith sembra divenuta proprio
inadeguata"? Mi sembra un non sequitur.
Post by Marco V.
Post by posi
A quel punto vedrai che è solo una parte, direi forse anche
piuttosto marginale, delle risorse destinate al marketing.
Quindi i produttori non ci hanno messo da nessuna parte. Semmai
siamo *noi* che ci mettiamo nella posizione di mendicanti, perché
scegliamo di esserlo e vogliamo esserlo.
I produttori *sono* concittadini: ne hanno pieno diritto, e non
possiamo fare altro che considerarli tali. Ciò che dobbiamo
decidere, semmai, è cosa vogliamo essere noi: possiamo decidere di
essere mendicanti, e facendo affidamento sulla benevolenza altrui,
oppure di essere cittadini e guadagnarci il pane lavorando. Tutto
ciò senza alcun bisogno di chiamare le cose con nomi diversi.
Lavorando come? Come dipendenti dei grandi produttori che fanno
beneficenza "umanitaria"?
Non è il tipo di contratto a fare la differenza. Si può essere
dipendenti senza essere servi, e al tempo stesso si può usare la partita
iva come paravento per quella che di fatto è una forma di servitù.

La differenza la fa il modo in cui ci si approccia al lavoro: ti aspetti
*beneficenza* dal tuo datore di lavoro (o dal tuo cliente), o ti aspetti
di fare con lui un *affare* che convenga ad entrambi?

Il professionista propone un affare, il mendicante chiede beneficenza.
Marco V.
2024-03-03 00:20:14 UTC
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Post by posi
Post by Marco V.
Post by posi
Dobbiamo allora concludere che i grandi produttori ci hanno messi
nella posizione di mendicanti? Ma poi, possiamo davvero
considerare "concittadini" questi produttori dalla cui
benevolenza solamente il mendicante vorrebbe dipendere?
Per misurare la cosiddetta "beneficenza" dei grandi produttori, non
puoi confrontarla con le risorse delle nazioni più piccole: non ha
senso. Devi confrontarla col fatturato dell'azienda.
Non sono d'accordo. Questo è un rassicurante punto di vista "interno"
a una logica, che ne impedisce una valutazione esterna. Un altro modo
per risponderti, in linea con il primo, è che non si tratta di
*misurare* la beneficenza filantropica dei grandi produtti privati,
ma di darne una valutazione. Ma si può conservare la parola, dicendo
che si tratta proprio di *misurarla*, ma secondo criteri e unità di
misura esterni. Se questa operazione di "misura" spaventa qualcuno,
pazienza. In ogni caso l'immagine di Smith sembra divenuta proprio
inadeguata.
Non è che mi spaventi: lo trovo solo un po' ingenuo. Il mio "non puoi" o
"devi" non è da intendersi in senso morale.
Tu *puoi* esaltare la forza di una formica che riesce a sollevare oggetti
fino a 100 volte il proprio peso, così come *puoi* evidenziare la sua
debolezza sottolineando che sei in grado di schiacciarla in mezzo secondo, a
seconda della narrazione che hai deciso di fare e che sei libero di fare per
argomentare le tue tesi.
Puoi benissimo mettere a confronto la beneficenza di un marchese con l'intero
PIL di una piccola città stato. Puoi fingere di meravigliarti delle enormi
disuguaglianze che possono esserci in un paese, e lasciarti anche un po' di
meraviglia per le disuguaglianze ancora più grandi che escono quando i
confronti li fai su scala mondiale.
Ma in che modo pensi di collegare questo legittimo senso di meraviglia con la
tesi secondo cui "l'immagine di Smith sembra divenuta proprio inadeguata"? Mi
sembra un non sequitur.
La frase di Smith è: <<Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del
birraio o del fornaio che *ci aspettiamo* il nostro pranzo, ma dal
fatto che essi hanno cura del loro interesse>>. La frase contiene un
verbo di atteggiamento ma intende al contempo escludere che "il nostro
pranzo" sia oggettivamente garantito dalla benevolenza dei produttori.
Ora, immagina produttori globali di, per esempio, "servizi
informatici", che devolvono ingenti somme di denaro alla ricerca in
campo medico; e immagina che queste somme siano un contributo
determinante. E' dalla "ricerca scientifica" che noi ci aspettiamo
direttamente quel "nostro pranzo" consistente nella cura di quella
certa malattia. Ma è grazie al fatto che "birrai e macellai" hanno
avuto cura del *loro interesse*, che la ricerca scientifica ha le
risorse economiche per poter esistere? Per sostenerlo dovremmo
rimuovere la connotazione altruistica di quella devoluzione. E non
solo. E' un dato di fatto che nelle nostre società è crescente, e
sempre più incentivata, l'aspettativa diretta che i grandi produttori
devolvano risorse per il perseguimento di finalità benefiche.
Incentivata dagli stessi grandi produttori.
Post by posi
Post by Marco V.
Post by posi
A quel punto vedrai che è solo una parte, direi forse anche
piuttosto marginale, delle risorse destinate al marketing.
Quindi i produttori non ci hanno messo da nessuna parte. Semmai
siamo *noi* che ci mettiamo nella posizione di mendicanti, perché
scegliamo di esserlo e vogliamo esserlo.
I produttori *sono* concittadini: ne hanno pieno diritto, e non possiamo
fare altro che considerarli tali. Ciò che dobbiamo
decidere, semmai, è cosa vogliamo essere noi: possiamo decidere di
essere mendicanti, e facendo affidamento sulla benevolenza altrui,
oppure di essere cittadini e guadagnarci il pane lavorando. Tutto
ciò senza alcun bisogno di chiamare le cose con nomi diversi.
Lavorando come? Come dipendenti dei grandi produttori che fanno beneficenza
"umanitaria"?
Non è il tipo di contratto a fare la differenza. Si può essere dipendenti
senza essere servi, e al tempo stesso si può usare la partita iva come
paravento per quella che di fatto è una forma di servitù.
La differenza la fa il modo in cui ci si approccia al lavoro: ti aspetti
*beneficenza* dal tuo datore di lavoro (o dal tuo cliente), o ti aspetti di
fare con lui un *affare* che convenga ad entrambi?
Il professionista propone un affare, il mendicante chiede beneficenza.
Dal mio datore di lavoro mi aspetto che non mi propini visioni del
mondo, "valori", "missioni" che pretendano in qualche modo di mettere
le mani sulla mia sostanza di essere umano (ma se quel "datore di
lavoro" ha la caratura di un soggetto pubblico, allora il discorso
cambia).
Circa il resto, quello che volevo dire è che è una ingenuità avere una
fiducia eccessiva nel raggio di azione delle decisioni individuali.
Passando dal fare al far fare beneficienza (ma rimanendo in realtà
nello stesso ambito), sarà capitato anche a te di effettuare un
prelievo di denaro contante a uno sportello automatico, che durante la
procedura ti offre la possibilità, a portata di dita, di "fare
beneficenza". Non so tu, ma non era per poter usufruire del servizio
della possibilità di scegliere di fare beneficenza in giro per il
mondo, che io avevo scelto di divenire cliente di una *banca*. Quello
che invece scelgo, è di riflettere su quale sia il senso di tutto
questo.
posi
2024-03-03 03:10:02 UTC
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Post by Marco V.
La frase di Smith è: <<Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del
birraio o del fornaio che *ci aspettiamo* il nostro pranzo, ma dal fatto
che essi hanno cura del loro interesse>>. La frase contiene un verbo di
atteggiamento ma intende al contempo escludere che "il nostro pranzo"
sia oggettivamente garantito dalla benevolenza dei produttori. Ora,
immagina produttori globali di, per esempio, "servizi informatici", che
devolvono ingenti somme di denaro alla ricerca in campo medico; e
immagina che queste somme siano un contributo determinante. E' dalla
"ricerca scientifica" che noi ci aspettiamo direttamente quel "nostro
pranzo" consistente nella cura di quella certa malattia. Ma è grazie al
fatto che "birrai e macellai" hanno avuto cura del *loro interesse*, che
la ricerca scientifica ha le risorse economiche per poter esistere?
In tal caso non saranno i birrai e macellai ma i fornitori di servizi
informatici. Non vedo radicali cambiamenti.

Per
Post by Marco V.
sostenerlo dovremmo rimuovere la connotazione altruistica di quella
devoluzione. E non solo. E' un dato di fatto che nelle nostre società è
crescente, e sempre più incentivata, l'aspettativa diretta che i grandi
produttori devolvano risorse per il perseguimento di finalità benefiche.
Incentivata dagli stessi grandi produttori.
A me non sembra che sia crescente e sempre più incentivata. Ma, se lo è,
è un atteggiamento piuttosto ingenuo.
Post by Marco V.
Dal mio datore di lavoro mi aspetto che non mi propini visioni del
mondo, "valori", "missioni" che pretendano in qualche modo di mettere le
mani sulla mia sostanza di essere umano (ma se quel "datore di lavoro"
ha la caratura di un soggetto pubblico, allora il discorso cambia).
Non ho capito perché dovrebbe cambiare se è pubblico o privato: in
entrambi i casi la visione del mondo, i valori, le missioni, saranno
parte di ciò che, più in generale è l'ambiente di lavoro, e che
sicuramente terrai inconsiderazione, insieme allo stipendio, nel
valutare se accettare quel lavoro o cercartene un altro.
Post by Marco V.
Circa il resto, quello che volevo dire è che è una ingenuità avere una
fiducia eccessiva nel raggio di azione delle decisioni individuali.
Passando dal fare al far fare beneficienza (ma rimanendo in realtà nello
stesso ambito), sarà capitato anche a te di effettuare un prelievo di
denaro contante a uno sportello automatico, che durante la procedura ti
offre la possibilità, a portata di dita, di "fare beneficenza". Non so
tu, ma non era per poter usufruire del servizio della possibilità di
scegliere di fare beneficenza in giro per il mondo, che io avevo scelto
di divenire cliente di una *banca*. Quello che invece scelgo, è di
riflettere su quale sia il senso di tutto questo.
Il senso di tutto questo è che i destinatari di quella beneficenza, con
alta probabilità, depositeranno i loro bei soldini proprio in quella
stessa tua banca. Le banche più di ogni altro tipo di società hanno
interesse che i soldi girino.
Marco V.
2024-03-03 10:12:38 UTC
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Post by posi
Post by Marco V.
La frase di Smith è: <<Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del
birraio o del fornaio che *ci aspettiamo* il nostro pranzo, ma dal fatto
che essi hanno cura del loro interesse>>. La frase contiene un verbo di
atteggiamento ma intende al contempo escludere che "il nostro pranzo" sia
oggettivamente garantito dalla benevolenza dei produttori. Ora, immagina
produttori globali di, per esempio, "servizi informatici", che devolvono
ingenti somme di denaro alla ricerca in campo medico; e immagina che queste
somme siano un contributo determinante. E' dalla "ricerca scientifica" che
noi ci aspettiamo direttamente quel "nostro pranzo" consistente nella cura
di quella certa malattia. Ma è grazie al fatto che "birrai e macellai"
hanno avuto cura del *loro interesse*, che la ricerca scientifica ha le
risorse economiche per poter esistere?
In tal caso non saranno i birrai e macellai ma i fornitori di servizi
informatici. Non vedo radicali cambiamenti.
Quando noi *beneficiamo* della cura del proprio interesse da parte del
macellaio (che ci permette di ottenere una bella bistecca) non si pone
nessun problema, perché l'esistenza di un beneficio non implica che a
farlo esistere sia stato un benefattore. Non ho invece capito se tu
sottoscriveresti o no la frase "abbiamo ottenuto la cura contro la
terribile malattia X anche grazie alla *benevolenza* dei grandi
produttori". Se lo chiarisci, poi si può discutere se questo entra o no
in contraddizione con il paradigma smithiano, se valga o no la pena di
distinguere il caso in cui il "benefattore" è l'azienda da quello in
cui lo è il suo proprietario etc.
Post by posi
Per
Post by Marco V.
sostenerlo dovremmo rimuovere la connotazione altruistica di quella
devoluzione. E non solo. E' un dato di fatto che nelle nostre società è
crescente, e sempre più incentivata, l'aspettativa diretta che i grandi
produttori devolvano risorse per il perseguimento di finalità benefiche.
Incentivata dagli stessi grandi produttori.
A me non sembra che sia crescente e sempre più incentivata. Ma, se lo è, è un
atteggiamento piuttosto ingenuo.
Far credere in una (posto che lo sia) ingenuità non è detto che sia una
ingenuità. Anzi.
Post by posi
Post by Marco V.
Dal mio datore di lavoro mi aspetto che non mi propini visioni del mondo,
"valori", "missioni" che pretendano in qualche modo di mettere le mani
sulla mia sostanza di essere umano (ma se quel "datore di lavoro" ha la
caratura di un soggetto pubblico, allora il discorso cambia).
Non ho capito perché dovrebbe cambiare se è pubblico o privato: in entrambi i
casi la visione del mondo, i valori, le missioni, saranno parte di ciò che,
più in generale è l'ambiente di lavoro, e che sicuramente terrai
inconsiderazione, insieme allo stipendio, nel valutare se accettare quel
lavoro o cercartene un altro.
Pensa ad esempio al servizio di un militare e all'ideale del
"sacrificio per la patria". Se si obietta che non ci sono ragioni per
cui il modo in cui questo ideale riesce a far esistere la forza armata
di uno stato debba essere legittimo mentre non debba esserlo il
tentativo della "missione aziendale" di dare un senso alla vita dei
dipendenti, allora entriamo nella questione.
Post by posi
Post by Marco V.
Circa il resto, quello che volevo dire è che è una ingenuità avere una
fiducia eccessiva nel raggio di azione delle decisioni individuali.
Passando dal fare al far fare beneficienza (ma rimanendo in realtà nello
stesso ambito), sarà capitato anche a te di effettuare un prelievo di
denaro contante a uno sportello automatico, che durante la procedura ti
offre la possibilità, a portata di dita, di "fare beneficenza". Non so tu,
ma non era per poter usufruire del servizio della possibilità di scegliere
di fare beneficenza in giro per il mondo, che io avevo scelto di divenire
cliente di una *banca*. Quello che invece scelgo, è di riflettere su quale
sia il senso di tutto questo.
Il senso di tutto questo è che i destinatari di quella beneficenza, con alta
probabilità, depositeranno i loro bei soldini proprio in quella stessa tua
banca. Le banche più di ogni altro tipo di società hanno interesse che i
soldi girino.
Questo non è il senso, ma la descrizione (condivisibile) di un
meccanismo utilitaristico. Comunque, a proposito di decisiono
individuali, io ho *deciso* di mettere i miei soldi in una banca che
non mi offra la possibilità di "fare beneficenza". Mi sai dare un
consiglio? Quello della mattonella non vale.
posi
2024-03-03 13:44:59 UTC
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Post by Marco V.
Quando noi *beneficiamo* della cura del proprio interesse da parte del
macellaio (che ci permette di ottenere una bella bistecca) non si pone
nessun problema, perché l'esistenza di un beneficio non implica che a
farlo esistere sia stato un benefattore. Non ho invece capito se tu
sottoscriveresti o no la frase "abbiamo ottenuto la cura contro la
terribile malattia X anche grazie alla *benevolenza* dei grandi
produttori". Se lo chiarisci, poi si può discutere se questo entra o no
in contraddizione con il paradigma smithiano, se valga o no la pena di
distinguere il caso in cui il "benefattore" è l'azienda da quello in cui
lo è il suo proprietario etc.
Sono d'accordo se sostituisci "benevolenza" con "finanziamento", o
meglio ancora con "investimento".
Post by Marco V.
Far credere in una (posto che lo sia) ingenuità non è detto che sia una
ingenuità. Anzi.
Ai bambini si "fa credere" che Babbo Natale porta i regali.

Quando hai a che fare con persone adulte e in grado di intendere e di
volere non esiste il "far credere".

C'è la truffa, quando ci sono gli estremi per considerarla tale.
Altrimenti, ci sono persone che scelgono liberamente di credere a ciò
che vogliono credere.
Post by Marco V.
Pensa ad esempio al servizio di un militare e all'ideale del "sacrificio
per la patria". Se si obietta che non ci sono ragioni per cui il modo in
cui questo ideale riesce a far esistere la forza armata di uno stato
debba essere legittimo mentre non debba esserlo il tentativo della
"missione aziendale" di dare un senso alla vita dei dipendenti, allora
entriamo nella questione.
Non esiste alcun paese al mondo in cui l'esercito si regge sull'ideale
del "sacrificio per la patria". Ci sono paesi in cui si regge sulla leva
obbligatoria, cioè sulla minaccia di finire in prigione, e altri paesi
in cui si regge su un congruo compenso.

Ciò non significa che l'ideale del sacrificio per la patria non esista:
esiste e può anche spingerti a rinunciare ad un lavoro più remunerativo.

Ma lo stesso vale per il fornaio, per il medico, o per un dipendente di
Google.
Post by Marco V.
Post by posi
Il senso di tutto questo è che i destinatari di quella beneficenza,
con alta probabilità, depositeranno i loro bei soldini proprio in
quella stessa tua banca. Le banche più di ogni altro tipo di società
hanno interesse che i soldi girino.
Questo non è il senso, ma la descrizione (condivisibile) di un
meccanismo utilitaristico.
E cos'altro intendi per "senso"?

Comunque, a proposito di decisiono
Post by Marco V.
individuali, io ho *deciso* di mettere i miei soldi in una banca che non
mi offra la possibilità di "fare beneficenza". Mi sai dare un consiglio?
Quello della mattonella non vale.
Non saprei che consiglio darti, perché la tua decisione di non voler
avere la possibilità di decidere è piuttosto paradossale.

E' come se uno mi dicesse che vuole vivere in un paese in cui è
*obbligato* ad esprimere opinioni contrarie a quelle del governo. Non è
possibile, non ce ne sono. Al mondo ci sono paesi dittatoriali, in cui è
proibito esprimere opinioni dissidenti, e paesi liberali, in cui puoi
esprimere l'opinione che vuoi, in linea o contraria al regime.
Marco V.
2024-03-05 16:36:24 UTC
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Post by Marco V.
Quando noi *beneficiamo* della cura del proprio interesse da parte del
macellaio (che ci permette di ottenere una bella bistecca) non si pone
nessun problema, perché l'esistenza di un beneficio non implica che a farlo
esistere sia stato un benefattore. Non ho invece capito se tu
sottoscriveresti o no la frase "abbiamo ottenuto la cura contro la
terribile malattia X anche grazie alla *benevolenza* dei grandi
produttori". Se lo chiarisci, poi si può discutere se questo entra o no in
contraddizione con il paradigma smithiano, se valga o no la pena di
distinguere il caso in cui il "benefattore" è l'azienda da quello in cui lo
è il suo proprietario etc.
Sono d'accordo se sostituisci "benevolenza" con "finanziamento", o meglio
ancora con "investimento".
Benissimo. Allora stai rimuovendo la connotazione altruistica implicata
dalle parole con cui in genere si descrivono quei "trasferimenti di
risorse" (concetto neutro). Con ciò torniamo a quanto avevo detto nel
primo post[*]. Ma allora stiamo descrivendo quei "trasferimenti di
risorse" in un modo differente da quella che sembra essere la loro
immagine pubblica; quello che dici qui sotto è il contesto migliore per
parlarne.

[*] Scusami l'autocitazione, che è solo per comodità di lettura: <<Per
respingere questa conclusione dovremmo cambiare la descrizione di
quella condotta, sostituendo il termine "beneficenza" (ed equivalenti),
connotato altruisticamente, con qualche altro riconducibile
all'"egosimo del macellaio" e al contempo in grado di esprimere la
finalità ultima>>.
Post by Marco V.
Far credere in una (posto che lo sia) ingenuità non è detto che sia una
ingenuità. Anzi.
Ai bambini si "fa credere" che Babbo Natale porta i regali.
Quando hai a che fare con persone adulte e in grado di intendere e di volere
non esiste il "far credere".
C'è la truffa, quando ci sono gli estremi per considerarla tale. Altrimenti,
ci sono persone che scelgono liberamente di credere a ciò che vogliono
credere.
Dunque secondo te non esiste un tentativo diffuso di fare credere nella
esistenza di una *benevolenza* alla base di quei beneficanti(=capaci di
produrre un beneficio) "trasferimenti di risorse", e il finire col
crederci sarebbe solamente la conseguenza di una privata, individuale
incapacità - magari dovuta al retaggio di una certa tradizione
culturale-religiosa - di distinguere l'essere-beneficante
dall'essere-benevolo?
Post by Marco V.
Pensa ad esempio al servizio di un militare e all'ideale del "sacrificio
per la patria". Se si obietta che non ci sono ragioni per cui il modo in
cui questo ideale riesce a far esistere la forza armata di uno stato debba
essere legittimo mentre non debba esserlo il tentativo della "missione
aziendale" di dare un senso alla vita dei dipendenti, allora entriamo nella
questione.
Non esiste alcun paese al mondo in cui l'esercito si regge sull'ideale del
"sacrificio per la patria". Ci sono paesi in cui si regge sulla leva
obbligatoria, cioè sulla minaccia di finire in prigione, e altri paesi in cui
si regge su un congruo compenso.
esiste e può anche spingerti a rinunciare ad un lavoro più remunerativo.
Ma lo stesso vale per il fornaio, per il medico, o per un dipendente di
Google.
Per ragioni discutere delle quali ci porterebbe un po' troppo fuori
tema, non sei l'unico a sottovalutare, nell'architettura sociale che
permette di esistere alle forze armate di uno stato (anche degli "stati
liberali"), il ruolo della forza morale di quell'ideale.
Torniamo al punto, che è distinto da questo aspetto (e dal quale
comunque non dipende la questione principale su cui si discuteva).
Prendi Tizio, cittadino italiano e dipendente di Google. Secondo te la
cittadinanza italiana e il rapporto di lavoro con Google sono sullo
stesso piano nel sostanziare l'identità di Tizio e, dunque, fargli
accettare obblighi e sacrifici?

Anche se si risponde di no - ed anzi, si guarda criticamente alla
capacità dei (grandi) produttori di spingersi sempre più dentro la
dimensione delle identità individuali - questo *non* vorrebbe dire che
ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B. Tutt'altro.
Post by Marco V.
Post by posi
Il senso di tutto questo è che i destinatari di quella beneficenza, con
alta probabilità, depositeranno i loro bei soldini proprio in quella
stessa tua banca. Le banche più di ogni altro tipo di società hanno
interesse che i soldi girino.
Questo non è il senso, ma la descrizione (condivisibile) di un meccanismo
utilitaristico.
E cos'altro intendi per "senso"?
Si fa carico della domanda sul senso non chi sa descrivere per filo e
per segno quel meccanismo utilitaristico ma chi, ad esempio, davanti
all'offerta della possibilità di fare beneficenza da parte della sua
banca pensasse 'tutto, anche la possibilità di fare del bene alla
gente, sta diventando un "servizio"...'. La descrizione del meccanismo
non estingue questo pensiero. Anzi, lo rafforza.
Comunque, a proposito di decisiono
Post by Marco V.
individuali, io ho *deciso* di mettere i miei soldi in una banca che non mi
offra la possibilità di "fare beneficenza". Mi sai dare un consiglio?
Quello della mattonella non vale.
Non saprei che consiglio darti, perché la tua decisione di non voler avere la
possibilità di decidere è piuttosto paradossale.
E' come se uno mi dicesse che vuole vivere in un paese in cui è *obbligato*
ad esprimere opinioni contrarie a quelle del governo. Non è possibile, non ce
ne sono. Al mondo ci sono paesi dittatoriali, in cui è proibito esprimere
opinioni dissidenti, e paesi liberali, in cui puoi esprimere l'opinione che
vuoi, in linea o contraria al regime.
Non è paradossale, ma permette di capire sia l'inevitabile
condizionatezza delle decisioni individuali all'interno delle prassi
sociali sia l'impossibilità che queste prassi siano onnicomprensive:
*non ho scelto* di avere, quando vado a prelevare 100 euro allo
sportello automatico, la possibilità di scegliere o non scegliere di
fare beneficenza.
Quella possibilità l'ha creata la banca; e il fatto che essa mi rende
libero di scegliere/non scegliere non riassorbe la mia finalità (che è
quella di *non* essere messo nella condizione di potere scegliere), che
dunque rimane insoddisfatta dal sistema.
posi
2024-03-05 21:43:06 UTC
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Post by Marco V.
Post by posi
Quando hai a che fare con persone adulte e in grado di intendere e di
volere non esiste il "far credere".
C'è la truffa, quando ci sono gli estremi per considerarla tale.
Altrimenti, ci sono persone che scelgono liberamente di credere a ciò
che vogliono credere.
Dunque secondo te non esiste un tentativo diffuso di fare credere nella
esistenza di una *benevolenza* alla base di quei beneficanti(=capaci di
produrre un beneficio) "trasferimenti di risorse", e il finire col
crederci sarebbe solamente la conseguenza di una privata, individuale
incapacità - magari dovuta al retaggio di una certa tradizione
culturale-religiosa - di distinguere l'essere-beneficante
dall'essere-benevolo?
Allora ti rivelo un segreto: quando vai dal macellaio e gli chiedi se
*per favore* ti taglia un etto di prosciutto, e lui ti risponde
"certamente", in realtà non è vero che lo fa per farti un favore, e non
è mosso dallo spirito del buon samaritano che dà da mangiare agli
affamati. Ti "fa credere" (se ti piace questa espressione) questa cosa,
mentre invece, ahimè, lo fa per vile denaro.

Ecco... quando io ti dico che il "far credere" non esiste intendo che
non c'è una frode, non c'è un inganno, c'è solo quella che in questo
caso si chiama "buona educazione" e in altri contesti la si può chiamare
"narrazione", ma che comunque non altera la realtà dei fatti,
descrivibili in maniera più neutrale come "trasferimento di risorse".

Poi, se uno vuole a tutti i costi credere che il macellaio gli abbia
fatto un favore, è libero di crederci, ma non è per una incapacità
dovuta al retaggio di una certa tradizione culturale-religiosa: è per un
voler credere a ciò che ci fa comodo credere.
Post by Marco V.
Post by posi
  >
Post by Marco V.
Pensa ad esempio al servizio di un militare e all'ideale del
"sacrificio per la patria". Se si obietta che non ci sono ragioni per
cui il modo in cui questo ideale riesce a far esistere la forza
armata di uno stato debba essere legittimo mentre non debba esserlo
il tentativo della "missione aziendale" di dare un senso alla vita
dei dipendenti, allora entriamo nella questione.
Non esiste alcun paese al mondo in cui l'esercito si regge sull'ideale
del "sacrificio per la patria". Ci sono paesi in cui si regge sulla
leva obbligatoria, cioè sulla minaccia di finire in prigione, e altri
paesi in cui si regge su un congruo compenso.
Ciò non significa che l'ideale del sacrificio per la patria non
esista: esiste e può anche spingerti a rinunciare ad un lavoro più
remunerativo.
Ma lo stesso vale per il fornaio, per il medico, o per un dipendente
di Google.
Per ragioni discutere delle quali ci porterebbe un po' troppo fuori
tema, non sei l'unico a sottovalutare, nell'architettura sociale che
permette di esistere alle forze armate di uno stato (anche degli "stati
liberali"), il ruolo della forza morale di quell'ideale.
Io ho affermato che questa forza può spingerti a rinunciare ad un lavoro
più remunerativo. Se questo è "sottovalutare", qual è la valutazione giusta?
Post by Marco V.
Torniamo al punto, che è distinto da questo aspetto (e dal quale
comunque non dipende la questione principale su cui si discuteva).
Prendi Tizio, cittadino italiano e dipendente di Google. Secondo te la
cittadinanza italiana e il rapporto di lavoro con Google sono sullo
stesso piano nel sostanziare l'identità di Tizio e, dunque, fargli
accettare obblighi e sacrifici?
L'identità di Tizio è sostanziata da un insieme di molti fattori, tra i
quali l'essere cittadino italiano e l'essere dipendente di Google sono
solo due, e non è detto neanche che siano i più importanti per lui.

Magari è soprattutto un comunista, un massone, o un pianista jazz.
Post by Marco V.
Anche se si risponde di no - ed anzi, si guarda criticamente alla
capacità dei (grandi) produttori di spingersi sempre più dentro la
dimensione delle identità individuali - questo *non* vorrebbe dire che
ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B. Tutt'altro.
Ovviamente no. Però spetta a chi risponde di no spiegare in cosa si
distinguono i due piani, e spetta a chi guarda criticamente alla
capacità dei produttori di spingersi nelle identità individuali
argomentare queste critiche.
Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
Post by posi
Il senso di tutto questo è che i destinatari di quella beneficenza,
con alta probabilità, depositeranno i loro bei soldini proprio in
quella stessa tua banca. Le banche più di ogni altro tipo di società
hanno interesse che i soldi girino.
Questo non è il senso, ma la descrizione (condivisibile) di un
meccanismo utilitaristico.
E cos'altro intendi per "senso"?
Si fa carico della domanda sul senso non chi sa descrivere per filo e
per segno quel meccanismo utilitaristico ma chi, ad esempio, davanti
all'offerta della possibilità di fare beneficenza da parte della sua
banca pensasse 'tutto, anche la possibilità di fare del bene alla gente,
sta diventando un "servizio"...'. La descrizione del meccanismo non
estingue questo pensiero. Anzi, lo rafforza.
Non estingue nemmeno il pensiero "una volta qui era tutta campagna": da
secoli il cosiddetto "settore terziario", cioè quello dei servizi, è in
progressiva espansione.
Post by Marco V.
Post by posi
Comunque, a proposito di decisiono
Post by Marco V.
individuali, io ho *deciso* di mettere i miei soldi in una banca che
non mi offra la possibilità di "fare beneficenza". Mi sai dare un
consiglio? Quello della mattonella non vale.
Non saprei che consiglio darti, perché la tua decisione di non voler
avere la possibilità di decidere è piuttosto paradossale.
E' come se uno mi dicesse che vuole vivere in un paese in cui è
*obbligato* ad esprimere opinioni contrarie a quelle del governo. Non
è possibile, non ce ne sono. Al mondo ci sono paesi dittatoriali, in
cui è proibito esprimere opinioni dissidenti, e paesi liberali, in cui
puoi esprimere l'opinione che vuoi, in linea o contraria al regime.
Non è paradossale, ma permette di capire sia l'inevitabile
condizionatezza delle decisioni individuali all'interno delle prassi
*non ho scelto* di avere, quando vado a prelevare 100 euro allo
sportello automatico, la possibilità di scegliere o non scegliere di
fare beneficenza.
Ammesso che, per ipotesi, all'apertura del conto, l'impiegato ti avesse
chiesto se vuoi avere questa possibilità o non vuoi averla, tu ti
saresti comunque lamentato del fatto di poter scegliere di scegliere.
Giusto?
Marco V.
2024-03-29 14:01:52 UTC
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Post by Marco V.
Post by posi
Quando hai a che fare con persone adulte e in grado di intendere e di
volere non esiste il "far credere".
C'è la truffa, quando ci sono gli estremi per considerarla tale.
Altrimenti, ci sono persone che scelgono liberamente di credere a ciò che
vogliono credere.
Dunque secondo te non esiste un tentativo diffuso di fare credere nella
esistenza di una *benevolenza* alla base di quei beneficanti(=capaci di
produrre un beneficio) "trasferimenti di risorse", e il finire col crederci
sarebbe solamente la conseguenza di una privata, individuale incapacità -
magari dovuta al retaggio di una certa tradizione culturale-religiosa - di
distinguere l'essere-beneficante dall'essere-benevolo?
Allora ti rivelo un segreto: quando vai dal macellaio e gli chiedi se *per
favore* ti taglia un etto di prosciutto, e lui ti risponde "certamente", in
realtà non è vero che lo fa per farti un favore, e non è mosso dallo spirito
del buon samaritano che dà da mangiare agli affamati. Ti "fa credere" (se ti
piace questa espressione) questa cosa, mentre invece, ahimè, lo fa per vile
denaro.
Ecco... quando io ti dico che il "far credere" non esiste intendo che non c'è
una frode, non c'è un inganno, c'è solo quella che in questo caso si chiama
"buona educazione" e in altri contesti la si può chiamare "narrazione", ma
che comunque non altera la realtà dei fatti, descrivibili in maniera più
neutrale come "trasferimento di risorse".
Poi, se uno vuole a tutti i costi credere che il macellaio gli abbia fatto un
favore, è libero di crederci, ma non è per una incapacità dovuta al retaggio
di una certa tradizione culturale-religiosa: è per un voler credere a ciò che
ci fa comodo credere.
D'accordo sul resocondo dello scambio cliente/commerciante. Ma non ho
ancora capito che senso dai a quegli ingenti "trasferimenti di
risorse", etichettati come "beneficenza", di cui stiamo parlando. Se
l'uso di questa espressione neutra è funzionale alla liquidazione della
questione del senso, magari staremmo rendendo un buon servizio alla
società dei servizi, ma non al ragionamento.
Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
Pensa ad esempio al servizio di un militare e all'ideale del "sacrificio
per la patria". Se si obietta che non ci sono ragioni per cui il modo in
cui questo ideale riesce a far esistere la forza armata di uno stato
debba essere legittimo mentre non debba esserlo il tentativo della
"missione aziendale" di dare un senso alla vita dei dipendenti, allora
entriamo nella questione.
Non esiste alcun paese al mondo in cui l'esercito si regge sull'ideale del
"sacrificio per la patria". Ci sono paesi in cui si regge sulla leva
obbligatoria, cioè sulla minaccia di finire in prigione, e altri paesi in
cui si regge su un congruo compenso.
esiste e può anche spingerti a rinunciare ad un lavoro più remunerativo.
Ma lo stesso vale per il fornaio, per il medico, o per un dipendente di
Google.
Per ragioni discutere delle quali ci porterebbe un po' troppo fuori tema,
non sei l'unico a sottovalutare, nell'architettura sociale che permette di
esistere alle forze armate di uno stato (anche degli "stati liberali"), il
ruolo della forza morale di quell'ideale.
Io ho affermato che questa forza può spingerti a rinunciare ad un lavoro più
remunerativo. Se questo è "sottovalutare", qual è la valutazione giusta?
Post by Marco V.
Torniamo al punto, che è distinto da questo aspetto (e dal quale comunque
non dipende la questione principale su cui si discuteva). Prendi Tizio,
cittadino italiano e dipendente di Google. Secondo te la cittadinanza
italiana e il rapporto di lavoro con Google sono sullo stesso piano nel
sostanziare l'identità di Tizio e, dunque, fargli accettare obblighi e
sacrifici?
L'identità di Tizio è sostanziata da un insieme di molti fattori, tra i quali
l'essere cittadino italiano e l'essere dipendente di Google sono solo due, e
non è detto neanche che siano i più importanti per lui.
Magari è soprattutto un comunista, un massone, o un pianista jazz.
Post by Marco V.
Anche se si risponde di no - ed anzi, si guarda criticamente alla capacità
dei (grandi) produttori di spingersi sempre più dentro la dimensione delle
identità individuali - questo *non* vorrebbe dire che ci sono cittadini di
serie A e cittadini di serie B. Tutt'altro.
Ovviamente no. Però spetta a chi risponde di no spiegare in cosa si
distinguono i due piani, e spetta a chi guarda criticamente alla capacità dei
produttori di spingersi nelle identità individuali argomentare queste
critiche.
L'appartenza nazionale è per una serie di ragioni (una è sicuramente il
rapporto degli individui con il tempo, lo spazio, la lingua e la
cultura) ancora un legame dalla forza insostituibile; e anche molto
vantaggioso per il buon governo di un paese. I sacrifici a favore di
ciò a cui si è legati sono molto più semplici, e meno dispendiosi.

Per il resto si tratta semplicemente di ammettere che i grandi
produttori stanno plasmando le identità sociali, entrando in regioni
dell'esistenza in cui prima agivano la politica e la religione. Questa
ammissione non dovrebbe essere ostacolata o impedita né dal fatto che
per ciascuno di noi esistono molteplici cose in cui ci riconosciamo,
che sentiamo di essere etc.; né da quello che le società liberali,
chiamiamole pure qui "democrazie", lasciano molta libertà in merito.
Insomma, possiamo fare questa ammissione senza aver paura di trovarci
russi, cinesi e nordcoreani sull'uscio di casa.
Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
Post by posi
Il senso di tutto questo è che i destinatari di quella beneficenza, con
alta probabilità, depositeranno i loro bei soldini proprio in quella
stessa tua banca. Le banche più di ogni altro tipo di società hanno
interesse che i soldi girino.
Questo non è il senso, ma la descrizione (condivisibile) di un meccanismo
utilitaristico.
E cos'altro intendi per "senso"?
Si fa carico della domanda sul senso non chi sa descrivere per filo e per
segno quel meccanismo utilitaristico ma chi, ad esempio, davanti
all'offerta della possibilità di fare beneficenza da parte della sua banca
pensasse 'tutto, anche la possibilità di fare del bene alla gente, sta
diventando un "servizio"...'. La descrizione del meccanismo non estingue
questo pensiero. Anzi, lo rafforza.
Non estingue nemmeno il pensiero "una volta qui era tutta campagna": da
secoli il cosiddetto "settore terziario", cioè quello dei servizi, è in
progressiva espansione.
Va bene, ma questa è ancora una descrizione di un fenomeno
socio-economico. Si tratta proprio di valutare quella espansione. In
realtà esistono delle remore a farlo e, nei fatti, c'è la tendenza a
lasciar agire quel tipo di descrizione come un bulldozer per spianare
dubbi o titubanze. Si dovrebbero sviscerare e descrivere quelle remore,
o quali potrebbero essere.
Post by Marco V.
Post by posi
Comunque, a proposito di decisiono
Post by Marco V.
individuali, io ho *deciso* di mettere i miei soldi in una banca che non
mi offra la possibilità di "fare beneficenza". Mi sai dare un consiglio?
Quello della mattonella non vale.
Non saprei che consiglio darti, perché la tua decisione di non voler avere
la possibilità di decidere è piuttosto paradossale.
E' come se uno mi dicesse che vuole vivere in un paese in cui è
*obbligato* ad esprimere opinioni contrarie a quelle del governo. Non è
possibile, non ce ne sono. Al mondo ci sono paesi dittatoriali, in cui è
proibito esprimere opinioni dissidenti, e paesi liberali, in cui puoi
esprimere l'opinione che vuoi, in linea o contraria al regime.
Non è paradossale, ma permette di capire sia l'inevitabile condizionatezza
delle decisioni individuali all'interno delle prassi sociali sia
l'impossibilità che queste prassi siano onnicomprensive: *non ho scelto* di
avere, quando vado a prelevare 100 euro allo sportello automatico, la
possibilità di scegliere o non scegliere di fare beneficenza.
Ammesso che, per ipotesi, all'apertura del conto, l'impiegato ti avesse
chiesto se vuoi avere questa possibilità o non vuoi averla, tu ti saresti
comunque lamentato del fatto di poter scegliere di scegliere. Giusto?
Non mi sarei "lamentato" con l'impiegato e potrei anche apprezzare
quella possibilità di scegliere ad un livello superiore che mi viene
offerta. Ma mi lamenterei se un filosofo non capisse che con la
possibilità di scegliere di scegliere la questione viene semplicemente
approfondita.
posi
2024-03-29 23:54:20 UTC
Permalink
Post by Marco V.
D'accordo sul resocondo dello scambio cliente/commerciante. Ma non ho
ancora capito che senso dai a quegli ingenti "trasferimenti di risorse",
etichettati come "beneficenza", di cui stiamo parlando. Se l'uso di
questa espressione neutra è funzionale alla liquidazione della questione
del senso, magari staremmo rendendo un buon servizio alla società dei
servizi, ma non al ragionamento.
Abbiamo visto che senso possono avere nel caso della beneficenza della
banca. Se hai in mente altri casi specifici, possiamo esaminarli.
Post by Marco V.
Post by posi
L'identità di Tizio è sostanziata da un insieme di molti fattori, tra
i quali l'essere cittadino italiano e l'essere dipendente di Google
sono solo due, e non è detto neanche che siano i più importanti per lui.
Magari è soprattutto un comunista, un massone, o un pianista jazz.
Post by Marco V.
Anche se si risponde di no - ed anzi, si guarda criticamente alla
capacità dei (grandi) produttori di spingersi sempre più dentro la
dimensione delle identità individuali - questo *non* vorrebbe dire
che ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B. Tutt'altro.
Ovviamente no. Però spetta a chi risponde di no spiegare in cosa si
distinguono i due piani, e spetta a chi guarda criticamente alla
capacità dei produttori di spingersi nelle identità individuali
argomentare queste critiche.
L'appartenza nazionale è per una serie di ragioni (una è sicuramente il
rapporto degli individui con il tempo, lo spazio, la lingua e la
cultura) ancora un legame dalla forza insostituibile; e anche molto
vantaggioso per il buon governo di un paese. I sacrifici a favore di ciò
a cui si è legati sono molto più semplici, e meno dispendiosi.
Tutto ciò che hai scritto è applicabile all'appartenenza nazionale
quanto a qualunque altro fatto identitario.
Post by Marco V.
Per il resto si tratta semplicemente di ammettere che i grandi
produttori stanno plasmando le identità sociali, entrando in regioni
dell'esistenza in cui prima agivano la politica e la religione.
Se mostro qualche esitazione ad ammetterlo non è certo perché dubito che
ci siano, ma perché, al contrario, a me pare che ci siano sempre stati,
altro che "entrare"!

Questa
Post by Marco V.
ammissione non dovrebbe essere ostacolata o impedita né dal fatto che
per ciascuno di noi esistono molteplici cose in cui ci riconosciamo, che
sentiamo di essere etc.; né da quello che le società liberali,
chiamiamole pure qui "democrazie", lasciano molta libertà in merito.
Insomma, possiamo fare questa ammissione senza aver paura di trovarci
russi, cinesi e nordcoreani sull'uscio di casa.
Facciamola pure senza problemi.
Post by Marco V.
Post by posi
da secoli il cosiddetto "settore terziario", cioè quello dei servizi,
è in progressiva espansione.
Va bene, ma questa è ancora una descrizione di un fenomeno
socio-economico. Si tratta proprio di valutare quella espansione. In
realtà esistono delle remore a farlo e, nei fatti, c'è la tendenza a
lasciar agire quel tipo di descrizione come un bulldozer per spianare
dubbi o titubanze. Si dovrebbero sviscerare e descrivere quelle remore,
o quali potrebbero essere.
Remore? Svisceriamo!
Qui c'è libertà di espressione.
Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
Post by Marco V.
Comunque, a proposito di decisiono
Post by Marco V.
individuali, io ho *deciso* di mettere i miei soldi in una banca
che non mi offra la possibilità di "fare beneficenza". Mi sai dare
un consiglio? Quello della mattonella non vale.
Non saprei che consiglio darti, perché la tua decisione di non voler
avere la possibilità di decidere è piuttosto paradossale.
E' come se uno mi dicesse che vuole vivere in un paese in cui è
*obbligato* ad esprimere opinioni contrarie a quelle del governo.
Non è possibile, non ce ne sono. Al mondo ci sono paesi
dittatoriali, in cui è proibito esprimere opinioni dissidenti, e
paesi liberali, in cui puoi esprimere l'opinione che vuoi, in linea
o contraria al regime.
Non è paradossale, ma permette di capire sia l'inevitabile
condizionatezza delle decisioni individuali all'interno delle prassi
*non ho scelto* di avere, quando vado a prelevare 100 euro allo
sportello automatico, la possibilità di scegliere o non scegliere di
fare beneficenza.
Ammesso che, per ipotesi, all'apertura del conto, l'impiegato ti
avesse chiesto se vuoi avere questa possibilità o non vuoi averla, tu
ti saresti comunque lamentato del fatto di poter scegliere di
scegliere. Giusto?
Non mi sarei "lamentato" con l'impiegato e potrei anche apprezzare
quella possibilità di scegliere ad un livello superiore che mi viene
offerta. Ma mi lamenterei se un filosofo non capisse che con la
possibilità di scegliere di scegliere la questione viene semplicemente
approfondita.
Al di là di qualche indubbia differenza pratica, non sono così sicuro
che la possibilità di scegliere di scegliere sia filosoficamente diversa
dalla semplice possibilità di scegliere. Ma probabilmente questo è
tutt'altro tema.

Marco V.
2024-03-02 09:33:30 UTC
Permalink
Post by Marco V.
Qual è la migliore argomentazione a favore del libero mercato, cioè di
quella situazione in cui i produttori privati sono liberi (sotto certe
regole) di piazzare le loro mercanzie? Presto detto, è ancora quella di Adam
Smith:<<Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del
fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura
del loro interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro
egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro
vantaggi. Nessuno che non sia un mendicante sceglie mai di dipendere
soprattutto dalla benevolenza dei suoi concittadini, e pesino un mendicante
non dipende esclusivamente da essa>>[da "La ricchezza delle nazioni"].Eppure
oggi i *grandi* produttori, il cui mercato si estende quanto l'umanità (in
particolare, perciò, i giganti del web; ad esempio Google) destinano ingenti
risorse economiche, superiori a quelle di cui dispongono le nazioni più
piccole, alla cosiddetta "beneficenza". Su che cosa questo significhi e sul
perché lo facciano non esistono certezze ma solamente interrogativi, come
spesso accade quando si prendono in considerazione i fini dell'agire altrui
(e a volte anche i propri). Quello che però importa è che questa condotta
tende a generare una rappresentazione del capitalismo in base alla quale "il
nostro pranzo" - cioè, in senso allargato, il benessere sociale - viene
precisamente a dipendere dalla benevolenza dei produttori, in contraddizione
con l'immagine fissata da Adam Smith. Per respingere questa conclusione
dovremmo cambiare la descrizione di quella condotta, sostituendo il termine
"beneficenza" (ed equivalenti), connotato altruisticamente, con qualche
altro riconducibile all'"egosimo del macellaio" e al contempo in grado di
esprimere la finalità ultima. Ma anche con questa sostituzione, la condotta
rimarrebbe dipendente dalla apparenza della sua finalità benefica: i grandi
produttori avrebbero bisogno che la gente creda che stanno facendo
beneficenza, e questo rimarrebbe ancora senza spiegazione. Dobbiamo allora
concludere che i grandi produttori ci hanno messi nella posizione di
mendicanti? Ma poi, possiamo davvero considerare "concittadini" questi
produttori dalla cui benevolenza solamente il mendicante vorrebbe dipendere?
Smith individua nella libera competizione una spinta al meglio e
quindi al bene.
Nei mercati regolamentati (oligopolio, duopolio, monopolio) questa
spinta diminuisce fino a scomparire.
Vedi l'economia sovietica o cinese prima maniera che si sono
disintegrate per mancanza di competizione.
Prodotti monomarca di un'economia di Stato non permettono scelta e
la mancanza di competizione non stimola il miglioramento del
prodotto.
E allora cosa non va nel libero mercato?
Nel libero mercato si e' sempre piu' esteso l'uso del contratto e
della produzione come della forza lavoro a fini fraudolenti.
Ossia, stare sul livello minimo legale per massimizzare i profitti.
Ecco che quell'onesta' richiesta viene meno nei cosiddetti buchi
legislativi.
Gli stessi che generano il mostro della corruzione che se non e'
il male di Agostino molto gli somiglia.
Che fare? Applicare le leggi che gia' ci sono sarebbe sufficiente.
E invece non avviene.
Avviene invece che proliferano le associazioni di tutela, che se
tutto filasse liscio non ci sarebbero.
La teoria di Smith come sappiamo si scontra con il mio cuore e anziano.
Ma siccome il marxismo e' la negazione della liberta' in nome
dello Stato, sarebbe meglio tenerci la liberta'.
La liberta' di fare bene e il bene non di fregarci uno con l'altro.
Uno dei presupposti del funzionamento del libero mercato secondo il
paradigma di Smith è la libera concorrenza. Ma, com'è ben noto a chi si
occupa di questi problemi, proprio questo presupposto è intaccato dalla
concentrazione di potere finanziario (capace di influire sulle
decisioni politiche) prodotta dalle stesse forze di mercato. Non si
tratta dunque del fatto che l'immagine smithiana sia concettualmente
sbagliata ab origine, ma del fatto che la "cosa" stessa di cui è
immagine, cioè il capitalismp del libero mercato, ad un certo punto la
rende, per lo meno in certi tratti, inadeguata.
Circa la libertà, anche qui il discorso non è semplice. C'è solo la
libertà degli individui? O c'è anche la libertà dei popoli? E la
seconda in che rapporti sta con quel concetto che fa accapponare la
pelle a chi professa la "fede" (qui sì, che la parola è adeguata) nella
alleanza libero mercato&diritti degli individui? Il concetto di
"sovranità".
Massimo 456b
2024-03-02 10:19:53 UTC
Permalink
L'intervento della mano invisibile in Smith rappresenta un
principio teologico.
E' indubbiamente la ricerca di un legame fra il mercato, o i
mercanti che sono propri di una cultura araba, con la tradizione
monoteista europea.
Ovvero il libero arbitrio che caratterizza nei principi fondanti
le religioni abramitiche.
Forse molto meno la cultura greco antica di cui sinceramente sul
commercio io conosco poco.
--
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Marco V.
2024-03-02 11:16:55 UTC
Permalink
Post by Massimo 456b
[...]
L'intervento della mano invisibile in Smith rappresenta un
principio teologico.
E' indubbiamente la ricerca di un legame fra il mercato, o i
mercanti che sono propri di una cultura araba, con la tradizione
monoteista europea.
Ovvero il libero arbitrio che caratterizza nei principi fondanti
le religioni abramitiche.
Mano invisibile del mercato, evoluzione per selezione... Sì, si
potrebbe discutere di come questi concetti antifinalistici si
riconettono ad una provenienza. Ma rimaniamo in topic. Prendi un grande
produttore, o comunque un detentore di ingenti risorse, che finanzia
"ong" che mirano a perturbare l'assetto del rapporto tra società civile
e società politica in "altri" paesi, per esempio quelli
tradizionalmente sottoposti, secondo varie forme, all'influenza
dell'impero russo. Che abbia la "simpatia" da parte di molti
occidentali, soprattutto di quelli che un tempo avevano creduto nella
"rivoluzione", questo è facilmente spiegabile. Ma perché lo fa?
Post by Massimo 456b
Forse molto meno la cultura greco antica di cui sinceramente sul
commercio io conosco poco.
Non sempre i commercianti erano titolari di diritti politici. Nella
democrazia ateniese per questo si innescò un violento conflitto.

Saluti,

Marco
Massimo 456b
2024-03-02 11:54:36 UTC
Permalink
Massimo 456b ha scritto il 02/03/2024 :>> [...]> L'intervento della mano invisibile in Smith rappresenta un> principio teologico.> E' indubbiamente la ricerca di un legame fra il mercato, o i> mercanti che sono propri di una cultura araba, con la tradizione> monoteista europea.> Ovvero il libero arbitrio che caratterizza nei principi fondanti> le religioni abramitiche.Mano invisibile del mercato, evoluzione per selezione... Sì, si potrebbe discutere di come questi concetti antifinalistici si riconettono ad una provenienza. Ma rimaniamo in topic. Prendi un grande produttore, o comunque un detentore di ingenti risorse, che finanzia "ong" che mirano a perturbare l'assetto del rapporto tra società civile e società politica in "altri" paesi, per esempio quelli tradizionalmente sottoposti, secondo varie forme, all'influenza dell'impero russo. Che abbia la "simpatia" da parte di molti occidentali, soprattutto di quelli che un tempo avevano creduto nella "rivoluzione", questo è facilmente spiegabile. Ma perché lo fa?> Forse molto meno la cultura greco antica di cui sinceramente sul> commercio io conosco poco.Non sempre i commercianti erano titolari di diritti politici. Nella democrazia ateniese per questo si innescò un violento conflitto
ok restiamo in topic.
L'economia governativa ha delle falle che quella non governativa
cerca di tappare.
Spesso ha origine in paesi diversi da quello in cui opera e spesso
e' in conflitto politico con i governi di quei paesi.
Prendiamo una delle piu' note, Save the Children

Save the Children nasce a Londra nel 1919. Le fondatrici,
l'infermiera volontaria Eglantyne Jebb e la sorella Dorothy
Francis (in Buxton), attivista politica, creano un'organizzazione
in grado di alleviare le terribili sofferenze dei bambini a
seguito della Prima Guerra Mondiale. Eglantyne Jebb denuncia e si
oppone al fatto che i bambini ?figli dei nemici? muoiano a
milioni per le sanzioni economiche imposte a Germania e
Austria.[5]

Come vedo e' nata da un problema specifico prima di diventare
internazionale.

Credo che alla base l'economia c'entri poco cosi' come la politica.

La spinta iniziale e' la filantropia o la solidarieta' che non
rientrano negli scopi dell'economia tradizionale dove lo scopo e'
il profitto.

Pero' attenzione a non demonizzare il profitto. Senza la spinta
del profitto l'economia si ferma.

Dunque iniziativa privata senza profitto.
E' possibile che questo modello possa diventare da non a governativo?

Rientra nel concetto di impresa. Intraprendere significa avere dei
soldi da investire e metterli in rischio.
Hai una grossa probabilita' di perdere tutto.

Ovviamente chi fa il bene degli altri non rischia nulla ma il
denaro che impiega arriva da un'altro surplus. Quello dei
consumatori dell'altro sistema.

Voglio dire che senza economia capitalistica nessuno avrebbe
denaro da elargire alle ong.
--
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https://piaohong.s3-us-west-2.amazonaws.com/usenet/index.html
Marco V.
2024-03-02 22:15:52 UTC
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Post by Massimo 456b
[...]
ok restiamo in topic.
L'economia governativa ha delle falle che quella non governativa
cerca di tappare.
Spesso ha origine in paesi diversi da quello in cui opera e spesso
e' in conflitto politico con i governi di quei paesi.
Prendiamo una delle piu' note, Save the Children
Save the Children nasce a Londra nel 1919. Le fondatrici,
l'infermiera volontaria Eglantyne Jebb e la sorella Dorothy
Francis (in Buxton), attivista politica, creano un'organizzazione
in grado di alleviare le terribili sofferenze dei bambini a
seguito della Prima Guerra Mondiale. Eglantyne Jebb denuncia e si
oppone al fatto che i bambini ?figli dei nemici? muoiano a
milioni per le sanzioni economiche imposte a Germania e
Austria.[5]
Come vedo e' nata da un problema specifico prima di diventare
internazionale.
Credo che alla base l'economia c'entri poco cosi' come la politica.
La spinta iniziale e' la filantropia o la solidarieta' che non
rientrano negli scopi dell'economia tradizionale dove lo scopo e'
il profitto.
Pero' attenzione a non demonizzare il profitto. Senza la spinta
del profitto l'economia si ferma.
Dunque iniziativa privata senza profitto.
E' possibile che questo modello possa diventare da non a governativo?
Rientra nel concetto di impresa. Intraprendere significa avere dei
soldi da investire e metterli in rischio.
Hai una grossa probabilita' di perdere tutto.
Ovviamente chi fa il bene degli altri non rischia nulla ma il
denaro che impiega arriva da un'altro surplus. Quello dei
consumatori dell'altro sistema.
Voglio dire che senza economia capitalistica nessuno avrebbe
denaro da elargire alle ong.
Nessuna demonizzazione del profitto né, in generale, dell'economia
capitalistica. Si tratta invece di capire logiche e processi che
riguardano l'agire "emergenziale" che caratterizza le organizzazioni
che si intestano finalità benefiche. Credo che le "ong" funzionino
oramai quasi sempre come fattori di destabilizzazione degli assetti
socio-politici dei territori in cui operano. Sono dunque parte
integrante della logica della crescente conflittualità planetaria.
Lanciano la pietra covando la mano; e così fanno i loro finanziatori,
che possono essere, in forme più o meno dirette, anche i tradizionali
attori delle relazioni internazionali, cioè i soggetti governativi.
Circa la domanda che poni (posto che l'abbia correttamente
interpretata), se le ong possano fornire il modello per un agire
governativo, la mia risposta è no. Le finalità che *definiscono*
l'agire del governo di uno stato non possono essere filantropiche;
pretenderlo, ad esempio in ragione del fatto che uno stato ha
sottoscritto trattati etc., significa di fatto cancellare il soggetto
(cioè il governo statuale), rimpiazzandolo con qualcos'altro.

Saluti,

Marco
Massimo 456b
2024-03-03 06:36:15 UTC
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Massimo 456b ha scritto il 02/03/2024 :>> [...]> ok restiamo in topic.> L'economia governativa ha delle falle che quella non governativa> cerca di tappare.> Spesso ha origine in paesi diversi da quello in cui opera e spesso> e' in conflitto politico con i governi di quei paesi.> Prendiamo una delle piu' note, Save the Children>> Save the Children nasce a Londra nel 1919. Le fondatrici,> l'infermiera volontaria Eglantyne Jebb e la sorella Dorothy> Francis (in Buxton), attivista politica, creano un'organizzazione> in grado di alleviare le terribili sofferenze dei bambini a> seguito della Prima Guerra Mondiale. Eglantyne Jebb denuncia e si> oppone al fatto che i bambini ?figli dei nemici? muoiano a> milioni per le sanzioni economiche imposte a Germania e> Austria.[5]>> Come vedo e' nata da un problema specifico prima di diventare> internazionale.>> Credo che alla base l'economia c'entri poco cosi' come la politica.>> La spinta iniziale e' la filantropia o la solidarieta' che non> rientrano negli scopi dell'economia tradizionale dove lo scopo e'> il profitto.>> Pero' attenzione a non demonizzare il profitto. Senza la spinta> del profitto l'economia si ferma.>> Dunque iniziativa privata senza profitto.> E' possibile che questo modello possa diventare da non a governativo?>> Rientra nel concetto di impresa. Intraprendere significa avere dei> soldi da investire e metterli in rischio.> Hai una grossa probabilita' di perdere tutto.>> Ovviamente chi fa il bene degli altri non rischia nulla ma il> denaro che impiega arriva da un'altro surplus. Quello dei> consumatori dell'altro sistema.>> Voglio dire che senza economia capitalistica nessuno avrebbe> denaro da elargire alle ong.Nessuna demonizzazione del profitto né, in generale, dell'economia capitalistica. Si tratta invece di capire logiche e processi che riguardano l'agire "emergenziale" che caratterizza le organizzazioni che si intestano finalità benefiche. Credo che le "ong" funzionino oramai quasi sempre come fattori di destabilizzazione degli assetti socio-politici dei territori in cui operano. Sono dunque parte integrante della logica della crescente conflittualità planetaria. Lanciano la pietra covando la mano; e così fanno i loro finanziatori, che possono essere, in forme più o meno dirette, anche i tradizionali attori delle relazioni internazionali, cioè i soggetti governativi.Circa la domanda che poni (posto che l'abbia correttamente interpretata), se le ong possano fornire il modello per un agire governativo, la mia risposta è no. Le finalità che *definiscono* l'agire del governo di uno stato non possono essere filantropiche; pretenderlo, ad esempio in ragione del fatto che uno stato ha sottoscritto trattati etc., significa di fatto cancellare il soggetto (cioè il governo statuale), rimpiazzandolo con qualcos'altro.
ti diro' di piu'.
La Chiesa di Francesco somiglia troppo a una Ong. Cosi' come le
Nazioni Unite. Ovviamente c'e' qualcosa che non va.
E quando non va c'e' di mezzo il denaro e il potere di un mondo
globalizzato male.
Le guerre non nascono per caso.
--
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Marco V.
2024-03-03 10:30:07 UTC
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Post by Massimo 456b
Massimo 456b ha scritto il 02/03/2024 :>> [...]> ok restiamo in topic.>
L'economia governativa ha delle falle che quella non governativa> cerca di
tappare.> Spesso ha origine in paesi diversi da quello in cui opera e
spesso> e' in conflitto politico con i governi di quei paesi.> Prendiamo
una delle piu' note, Save the Children>> Save the Children nasce a Londra
nel 1919. Le fondatrici,> l'infermiera volontaria Eglantyne Jebb e la
sorella Dorothy> Francis (in Buxton), attivista politica, creano
un'organizzazione> in grado di alleviare le terribili sofferenze dei
bambini a> seguito della Prima Guerra Mondiale. Eglantyne Jebb denuncia e
si> oppone al fatto che i bambini ?figli dei nemici? muoiano a> milioni
per le sanzioni economiche imposte a Germania e> Austria.[5]>> Come vedo e'
nata da un problema specifico prima di diventare> internazionale.>> Credo
che alla base l'economia c'entri poco cosi' come la politica.>> La spinta
iniziale e' la filantropia o la solidarieta' che non> rientrano negli scopi
dell'economia tradizionale dove lo scopo e'> il profitto.>> Pero'
attenzione a non demonizzare il profitto. Senza la spinta> del profitto
l'economia si ferma.>> Dunque iniziativa privata senza profitto.> E'
possibile che questo modello possa diventare da non a governativo?>> Rientra
nel concetto di impresa. Intraprendere significa avere dei> soldi da
investire e metterli in rischio.> Hai una grossa probabilita' di perdere
tutto.>> Ovviamente chi fa il bene degli altri non rischia nulla ma il>
denaro che impiega arriva da un'altro surplus. Quello dei> consumatori
dell'altro sistema.>> Voglio dire che senza economia capitalistica nessuno
avrebbe> denaro da elargire alle ong.Nessuna demonizzazione del profitto
né, in generale, dell'economia capitalistica. Si tratta invece di capire
logiche e processi che riguardano l'agire "emergenziale" che caratterizza le
organizzazioni che si intestano finalità benefiche. Credo che le "ong"
funzionino oramai quasi sempre come fattori di destabilizzazione degli
assetti socio-politici dei territori in cui operano. Sono dunque parte
integrante della logica della crescente conflittualità planetaria. Lanciano
la pietra covando la mano; e così fanno i loro finanziatori, che possono
essere, in forme più o meno dirette, anche i tradizionali attori delle
relazioni internazionali, cioè i soggetti governativi.Circa la domanda che
poni (posto che l'abbia correttamente interpretata), se le ong possano
fornire il modello per un agire governativo, la mia risposta è no. Le
finalità che *definiscono* l'agire del governo di uno stato non possono
essere filantropiche; pretenderlo, ad esempio in ragione del fatto che uno
stato ha sottoscritto trattati etc., significa di fatto cancellare il
soggetto (cioè il governo statuale), rimpiazzandolo con qualcos'altro.
ti diro' di piu'.
La Chiesa di Francesco somiglia troppo a una Ong. Cosi' come le
Nazioni Unite. Ovviamente c'e' qualcosa che non va.
E quando non va c'e' di mezzo il denaro e il potere di un mondo
globalizzato male.
Le guerre non nascono per caso.
Che l'ONU assomigli a una ong in fondo va accettato, finché un insieme
di governi non riuscirà a essere un governo. Invece sulla chiesa di
Bergoglio sono d'accordo. Quello tra cristianesimo e diritti umani
sembra essere uno "slittamento semantico" in atto. E' parte della
"confusione" contro cui altri papi avevano cominciato a prendere
provvedimenti.

Saluti,

Marco
Jonas
2024-03-03 11:26:38 UTC
Permalink
... Si tratta invece di capire logiche e processi che
riguardano l'agire "emergenziale" che caratterizza le organizzazioni
che si intestano finalità benefiche. Credo che le "ong" funzionino
oramai quasi sempre come fattori di destabilizzazione degli assetti
socio-politici dei territori in cui operano. Sono dunque parte
integrante della logica della crescente conflittualità planetaria.
Lanciano la pietra covando la mano; e così fanno i loro finanziatori,
che possono essere, in forme più o meno dirette, anche i tradizionali
attori delle relazioni internazionali, cioè i soggetti governativi.
Stai parlando solo delle organizzazioni che operano i salvataggi
nel mediterraneo? Oppure dell'intero terzo settore?
Circa la domanda che poni (posto che l'abbia correttamente
interpretata), se le ong possano fornire il modello per un agire
governativo, la mia risposta è no. Le finalità che *definiscono*
l'agire del governo di uno stato non possono essere filantropiche;
Ma devono esserlo se questa finalità è costituzionalizzata.
pretenderlo, ad esempio in ragione del fatto che uno stato ha
sottoscritto trattati etc., significa di fatto cancellare il soggetto
(cioè il governo statuale), rimpiazzandolo con qualcos'altro.
E in che modo potrebbe uno Stato fare parte di una comunità
internazionale senza rispettare i trattati sottoscritti con
quella comunità internazionale?
--
J
Marco V.
2024-03-05 15:17:24 UTC
Permalink
Post by Jonas
... Si tratta invece di capire logiche e processi che
riguardano l'agire "emergenziale" che caratterizza le organizzazioni
che si intestano finalità benefiche. Credo che le "ong" funzionino
oramai quasi sempre come fattori di destabilizzazione degli assetti
socio-politici dei territori in cui operano. Sono dunque parte
integrante della logica della crescente conflittualità planetaria.
Lanciano la pietra covando la mano; e così fanno i loro finanziatori,
che possono essere, in forme più o meno dirette, anche i tradizionali
attori delle relazioni internazionali, cioè i soggetti governativi.
Stai parlando solo delle organizzazioni che operano i salvataggi
nel mediterraneo? Oppure dell'intero terzo settore?
Non ne parlavo certamente in senso così estensivo (come avrei fatto se
mi fossi riferito all'intero terzo settore). Ma al contempo non mi
riferivo esclusivamente alle organizzazioni che operano i salvataggi
nel Mediterraneo, ma anche a quelle che promuovono "diritti" in
contraddizione con le tradizioni socio-politiche dei territori in cui
operano.
Non sto dicendo che queste prassi "non dovrebbero" esistere; questo è
un discorso che non mi interessava qui. Sto invece dicendo che si
dovrebbe riconoscere che fanno parte della logica della crescente
instabilità planetaria.
Post by Jonas
Circa la domanda che poni (posto che l'abbia correttamente
interpretata), se le ong possano fornire il modello per un agire
governativo, la mia risposta è no. Le finalità che *definiscono*
l'agire del governo di uno stato non possono essere filantropiche;
Ma devono esserlo se questa finalità è costituzionalizzata.
Parlavo di finalità che *definiscono* l'agire di un governo statuale.
E' possibile una costituzionalizzazione che trasformi dall'interno uno
stato in una organizzazione filantropica, che in ogni suo agire non
guardi più al rapporto escludente di appartenenza(=cittadinanza) ma
solamente a quello includente (umanità)?
La mia risposta è che il rispetto dei trattati internazionali e
*persino* la benevolenza non sono affatto in contraddizione con la
natura particolare e non universale di quella entità che finora abbiamo
chiamato "stato". Lo sarebbe invece quella trasformazione.
Post by Jonas
pretenderlo, ad esempio in ragione del fatto che uno stato ha
sottoscritto trattati etc., significa di fatto cancellare il soggetto
(cioè il governo statuale), rimpiazzandolo con qualcos'altro.
E in che modo potrebbe uno Stato fare parte di una comunità
internazionale senza rispettare i trattati sottoscritti con
quella comunità internazionale?
La cosiddetta "comunità internazionale" è o no una comunità di
*stati*,cioè entità particolari definite da domini territoriali,
rispetto ai quali esiste un dentro e un fuori? La domanda,
notoriamente, è sempre la stessa. E se dentro il contenuto (morale,
normativo etc.) di quelle entità inevitabilmente particolari ci
piazziamo l'universalismo, la particolarità non è con ciò cancellata ma
rimarrà, magari nella veste del soggetto particolare di un altruismo
suicida.
posi
2024-03-05 16:09:01 UTC
Permalink
Post by Marco V.
Ma al contempo non mi
riferivo esclusivamente alle organizzazioni che operano i salvataggi nel
Mediterraneo, ma anche a quelle che promuovono "diritti" in
contraddizione con le tradizioni socio-politiche dei territori in cui
operano.
Non sto dicendo che queste prassi "non dovrebbero" esistere; questo è un
discorso che non mi interessava qui. Sto invece dicendo che si dovrebbe
riconoscere che fanno parte della logica della crescente instabilità
planetaria.
Aprire le frontiere sperando che entri solo chi ti sta simpatico e
concedere la libertà di espressione sperando che ne faccia uso solo chi
la pensa come te, è estremamente ingenuo.

Non sto dicendo che sia sbagliato. Sto dicendo che non si può attribuire
al legittimo uso della libertà di espressione la colpa di una
(crescente?) instabilità planetaria.

Se in uno stato vige la libertà di espressione e la libertà di
movimento, ne consegue inevitabilmente che possano esistere, e di fatto
esistano, individui e organizzazioni che promuovono anche diritti in
contraddizione con le tradizioni socio-politiche del territorio.

Questo vale in Italia come all'estero.

Quella *è* la libertà di espressione. Se non piace, si può fare
benissimo come la Corea del Nord, dove le ONG non ci mettono piede.

Chi permette la libertà di opinione è perfettamente consapevole di
queste implicazioni. Così come ne è consapevole chi la toglie.
Marco V.
2024-03-05 16:47:34 UTC
Permalink
[...]
Se in uno stato vige la libertà di espressione e la libertà di movimento, ne
consegue inevitabilmente che possano esistere, e di fatto esistano, individui
e organizzazioni che promuovono anche diritti in contraddizione con le
tradizioni socio-politiche del territorio.
[...]
Mi sembrava chiaro che mi stavo riferendo, quali ambiti di azione delle
ong, a territori sottoposti al dominio di stati in cui quella libertà
non esiste, diciamo pure, per semplicità, di "stati non occidentali".

C'è qualcosa in particolare, che impedisce a quegli stati di
considerare "propaganda nemica" o qualcosa del genere l'azione di
quelle ong? Una forse ci sarebbe: che quelle istanze sorgessero dalla
propria società civile. Ma è una risposta che solleva a sua volta una
serie problemi.
posi
2024-03-05 18:08:36 UTC
Permalink
Post by Marco V.
Post by posi
[...]
Se in uno stato vige la libertà di espressione e la libertà di
movimento, ne consegue inevitabilmente che possano esistere, e di
fatto esistano, individui e organizzazioni che promuovono anche
diritti in contraddizione con le tradizioni socio-politiche del
territorio.
[...]
Mi sembrava chiaro che mi stavo riferendo, quali ambiti di azione delle
ong, a territori sottoposti al dominio di stati in cui quella libertà
non esiste, diciamo pure, per semplicità, di "stati non occidentali".
Era ben chiaro che ti riferissi agli stati non occidentali.

Non è altrettanto chiara e condivisibile l'assunzione "stati non
occidentali" = "stati in cui la libertà non esiste".
Post by Marco V.
C'è qualcosa in particolare, che impedisce a quegli stati di considerare
"propaganda nemica" o qualcosa del genere l'azione di quelle ong? Una
forse ci sarebbe: che quelle istanze sorgessero dalla propria società
civile. Ma è una risposta che solleva a sua volta una serie problemi.
Di solito, chi reputa opportuno reprimere la propaganda nemica non fa
troppe distinzioni tra il "nemico" inteso come paese nemico dal nemico
inteso come avversario politico.
Marco V.
2024-03-05 17:33:12 UTC
Permalink
Ma al contempo non mi riferivo esclusivamente alle organizzazioni che
operano i salvataggi nel Mediterraneo, ma anche a quelle che promuovono
"diritti" in contraddizione con le tradizioni socio-politiche dei territori
in cui operano.
Non sto dicendo che queste prassi "non dovrebbero" esistere; questo è un
discorso che non mi interessava qui. Sto invece dicendo che si dovrebbe
riconoscere che fanno parte della logica della crescente instabilità
planetaria.
Aprire le frontiere sperando che entri solo chi ti sta simpatico e concedere
la libertà di espressione sperando che ne faccia uso solo chi la pensa come
te, è estremamente ingenuo.
Non sto dicendo che sia sbagliato. Sto dicendo che non si può attribuire al
legittimo uso della libertà di espressione la colpa di una (crescente?)
instabilità planetaria.
Se in uno stato vige la libertà di espressione e la libertà di movimento, ne
consegue inevitabilmente che possano esistere, e di fatto esistano, individui
e organizzazioni che promuovono anche diritti in contraddizione con le
tradizioni socio-politiche del territorio.
Questo vale in Italia come all'estero.
Quella *è* la libertà di espressione. Se non piace, si può fare benissimo
come la Corea del Nord, dove le ONG non ci mettono piede.
Chi permette la libertà di opinione è perfettamente consapevole di queste
implicazioni. Così come ne è consapevole chi la toglie.
Chiarito che mi riferivo agli "stati non occidentali", aggiungo una
considerazione. Libertà di espressione e apertura delle frontiere sono
due cose distinte, e la prima non implica la seconda. Non possiamo
escludere che la seconda attivi un processo storico che a un certo
punto toglie di mezzo la prima. La storia rimane... libera di
esprimersi in quel senso: è nella sua... "costituzione".
posi
2024-03-05 18:22:07 UTC
Permalink
Post by Marco V.
Chiarito che mi riferivo agli "stati non occidentali", aggiungo una
considerazione. Libertà di espressione e apertura delle frontiere sono
due cose distinte, e la prima non implica la seconda. Non possiamo
escludere che la seconda attivi un processo storico che a un certo punto
toglie di mezzo la prima. La storia rimane... libera di esprimersi in
quel senso: è nella sua... "costituzione".
E' chiaro anche questo. Nessuna delle due implica l'altra.

Le ho menzionate insieme perché per entrambe vale il concetto che ho
espresso, e cioè che quando si permette una cosa se ne accettano le
conseguenze.

Se l'URSS avesse aperto le frontiere, avrebbe presumibilmente subito
un'emigrazione massiccia, con tutte le relative conseguenze anche di
ordine economico dovute alla perdita di forza lavoro. Le limitazioni
alla libertà non vengono fatte per puro gusto sadico.
Marco V.
2024-03-05 21:04:41 UTC
Permalink
Post by posi
Post by Marco V.
Chiarito che mi riferivo agli "stati non occidentali", aggiungo una
considerazione. Libertà di espressione e apertura delle frontiere sono due
cose distinte, e la prima non implica la seconda. Non possiamo escludere
che la seconda attivi un processo storico che a un certo punto toglie di
mezzo la prima. La storia rimane... libera di esprimersi in quel senso: è
nella sua... "costituzione".
E' chiaro anche questo. Nessuna delle due implica l'altra.
Le ho menzionate insieme perché per entrambe vale il concetto che ho
espresso, e cioè che quando si permette una cosa se ne accettano le
conseguenze.
Forse sei d'accordo sul fatto che se io permetto x, e x implica y, non
per questo sto accettando y: insomma, non c'è "chiusura". Può essere
che non ne fossi proprio al corrente; oppure che quando ho permesso x
il contesto non era quello che fa comparire y in quelle certe
proporzioni o modalità che minacciano altre cose di mio interesse.
Altro è se quel tuo "se ne accettano" significa "se ne devono
accettare".
Post by posi
Se l'URSS avesse aperto le frontiere, avrebbe presumibilmente subito
un'emigrazione massiccia, con tutte le relative conseguenze anche di ordine
economico dovute alla perdita di forza lavoro. Le limitazioni alla libertà
non vengono fatte per puro gusto sadico.
Siamo d'accordo. Ma in realtà le limitazioni alla libertà rivolte verso
l'esterno vengono a volte adottate proprio per difendere le libertà di
cui si gode *all'interno*.
posi
2024-03-05 22:24:48 UTC
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Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
Chiarito che mi riferivo agli "stati non occidentali", aggiungo una
considerazione. Libertà di espressione e apertura delle frontiere
sono due cose distinte, e la prima non implica la seconda. Non
possiamo escludere che la seconda attivi un processo storico che a un
certo punto toglie di mezzo la prima. La storia rimane... libera di
esprimersi in quel senso: è nella sua... "costituzione".
E' chiaro anche questo. Nessuna delle due implica l'altra.
Le ho menzionate insieme perché per entrambe vale il concetto che ho
espresso, e cioè che quando si permette una cosa se ne accettano le
conseguenze.
Forse sei d'accordo sul fatto che se io permetto x, e x implica y, non
per questo sto accettando y: insomma, non c'è "chiusura".
Non molto.

Prima di permettere o non permettere x, vai ad esaminare di esaminare e
valutare tutte le implicazioni di x. Per definizione stessa di
"decisione ragionata".

Tale esame significa anche informarsi, se c'è da informarsi, e tenere
conto che il contesto può cambiare, se il contesto può cambiare.

Altrimenti non è una decisione ragionata, ma è una decisione d'impulso.

Può essere che
Post by Marco V.
non ne fossi proprio al corrente; oppure che quando ho permesso x il
contesto non era quello che fa comparire y in quelle certe proporzioni o
modalità che minacciano altre cose di mio interesse.
Altro è se quel tuo "se ne accettano" significa "se ne devono accettare".
Post by posi
Se l'URSS avesse aperto le frontiere, avrebbe presumibilmente subito
un'emigrazione massiccia, con tutte le relative conseguenze anche di
ordine economico dovute alla perdita di forza lavoro. Le limitazioni
alla libertà non vengono fatte per puro gusto sadico.
Siamo d'accordo. Ma in realtà le limitazioni alla libertà rivolte verso
l'esterno vengono a volte adottate proprio per difendere le libertà di
cui si gode *all'interno*.
Anche quelle rivolte verso l'interno vengono fatte per difendere altre
libertà. C'è sempre un motivo, quando si va a limitare la libertà.
Marco V.
2024-03-18 19:05:43 UTC
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Post by posi
Post by posi
Post by Marco V.
Chiarito che mi riferivo agli "stati non occidentali", aggiungo una
considerazione. Libertà di espressione e apertura delle frontiere sono
due cose distinte, e la prima non implica la seconda. Non possiamo
escludere che la seconda attivi un processo storico che a un certo punto
toglie di mezzo la prima. La storia rimane... libera di esprimersi in
quel senso: è nella sua... "costituzione".
E' chiaro anche questo. Nessuna delle due implica l'altra.
Le ho menzionate insieme perché per entrambe vale il concetto che ho
espresso, e cioè che quando si permette una cosa se ne accettano le
conseguenze.
Forse sei d'accordo sul fatto che se io permetto x, e x implica y, non per
questo sto accettando y: insomma, non c'è "chiusura".
Non molto.
Prima di permettere o non permettere x, vai ad esaminare di esaminare e
valutare tutte le implicazioni di x. Per definizione stessa di "decisione
ragionata".
Tale esame significa anche informarsi, se c'è da informarsi, e tenere conto
che il contesto può cambiare, se il contesto può cambiare.
Altrimenti non è una decisione ragionata, ma è una decisione d'impulso
L'implicazione logica non c'è, perché non c'è chiusura sotto la
relazione di conseguenza. Assumerlo significherebbe assumere
l'onniscienza logica del soggetto.
Post by posi
non ne fossi proprio al corrente; oppure che quando ho permesso x il
contesto non era quello che fa comparire y in quelle certe proporzioni o
modalità che minacciano altre cose di mio interesse.
Altro è se quel tuo "se ne accettano" significa "se ne devono accettare".
Post by posi
Se l'URSS avesse aperto le frontiere, avrebbe presumibilmente subito
un'emigrazione massiccia, con tutte le relative conseguenze anche di
ordine economico dovute alla perdita di forza lavoro. Le limitazioni alla
libertà non vengono fatte per puro gusto sadico.
Siamo d'accordo. Ma in realtà le limitazioni alla libertà rivolte verso
l'esterno vengono a volte adottate proprio per difendere le libertà di cui
si gode *all'interno*.
Anche quelle rivolte verso l'interno vengono fatte per difendere altre
libertà. C'è sempre un motivo, quando si va a limitare la libertà.
D'accordo sulla esistenza di un motivo alla base della limitazione
della libertà. Mentre rimane da vedere se si tratti sempre di "difesa
di libertà".
posi
2024-03-19 20:41:58 UTC
Permalink
Post by Marco V.
Post by posi
Prima di permettere o non permettere x, vai ad esaminare di esaminare
e valutare tutte le implicazioni di x. Per definizione stessa di
"decisione ragionata".
Tale esame significa anche informarsi, se c'è da informarsi, e tenere
conto che il contesto può cambiare, se il contesto può cambiare.
Altrimenti non è una decisione ragionata, ma è una decisione d'impulso
L'implicazione logica non c'è, perché non c'è chiusura sotto la
relazione di conseguenza. Assumerlo significherebbe assumere
l'onniscienza logica del soggetto.
Tra l'onniscenza logica e il prendere decisioni alla cieca esiste anche
una via di mezzo: il ragionare sulle conseguenze ragionevolmente
prevedibili.

Per esempio, non serve essere un genio della finanza per capire che se
metti una mega-tassa sul patrimonio mobiliare, il giorno dopo il paese
si ritrova in mutande per una improvvisa e massiccia fuga di capitali.

Lo stesso vale per capire che se permetti ad uno straniero di aprire un
negozio accanto al tuo amico, vendendo lo stesso prodotto, per il tuo
amico è finita la pacchia. Se decidi di farlo, presumibilmente, è perché
hai valutato che ne trarrà un grande beneficio tutta la popolazione.
Forse, persino il tuo stesso amico.
Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
non ne fossi proprio al corrente; oppure che quando ho permesso x il
contesto non era quello che fa comparire y in quelle certe
proporzioni o modalità che minacciano altre cose di mio interesse.
Altro è se quel tuo "se ne accettano" significa "se ne devono accettare".
Post by posi
Se l'URSS avesse aperto le frontiere, avrebbe presumibilmente subito
un'emigrazione massiccia, con tutte le relative conseguenze anche di
ordine economico dovute alla perdita di forza lavoro. Le limitazioni
alla libertà non vengono fatte per puro gusto sadico.
Siamo d'accordo. Ma in realtà le limitazioni alla libertà rivolte
verso l'esterno vengono a volte adottate proprio per difendere le
libertà di cui si gode *all'interno*.
Anche quelle rivolte verso l'interno vengono fatte per difendere altre
libertà. C'è sempre un motivo, quando si va a limitare la libertà.
D'accordo sulla esistenza di un motivo alla base della limitazione della
libertà. Mentre rimane da vedere se si tratti sempre di "difesa di
libertà".
Il motivo è sempre, in ultima analisi, quello di difendere delle libertà
di qualcuno, a scapito di quelle di qualcun altro.

Ciò che rimane da vedere è quali libertà hanno la priorità e quali
possono essere sacrificate.
Marco V.
2024-03-23 23:07:09 UTC
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Post by posi
Prima di permettere o non permettere x, vai ad esaminare di esaminare e
valutare tutte le implicazioni di x. Per definizione stessa di "decisione
ragionata".
Tale esame significa anche informarsi, se c'è da informarsi, e tenere
conto che il contesto può cambiare, se il contesto può cambiare.
Altrimenti non è una decisione ragionata, ma è una decisione d'impulso
L'implicazione logica non c'è, perché non c'è chiusura sotto la relazione
di conseguenza. Assumerlo significherebbe assumere l'onniscienza logica del
soggetto.
Tra l'onniscenza logica e il prendere decisioni alla cieca esiste anche una
via di mezzo: il ragionare sulle conseguenze ragionevolmente prevedibili.
Per esempio, non serve essere un genio della finanza per capire che se metti
una mega-tassa sul patrimonio mobiliare, il giorno dopo il paese si ritrova
in mutande per una improvvisa e massiccia fuga di capitali.
Lo stesso vale per capire che se permetti ad uno straniero di aprire un
negozio accanto al tuo amico, vendendo lo stesso prodotto, per il tuo amico è
finita la pacchia. Se decidi di farlo, presumibilmente, è perché hai valutato
che ne trarrà un grande beneficio tutta la popolazione. Forse, persino il tuo
stesso amico.
Sì, ma dicendo che "quando si assume una decisione se ne accettano le
conseguenze" non sempre vogliamo dire che che quando si assumono delle
decisioni è perché se ne sono valutate (ed accettate) le conseguenze.
Con la prima frase non si intende fornire una spiegazione dei motivi
alla base dell'assunzione della decisione; anche se la seconda può
spiegare, restringendo il raggio delle conseguenze, perché la prima è
vera.
Post by posi
Post by Marco V.
non ne fossi proprio al corrente; oppure che quando ho permesso x il
contesto non era quello che fa comparire y in quelle certe proporzioni o
modalità che minacciano altre cose di mio interesse.
Altro è se quel tuo "se ne accettano" significa "se ne devono accettare".
Post by posi
Se l'URSS avesse aperto le frontiere, avrebbe presumibilmente subito
un'emigrazione massiccia, con tutte le relative conseguenze anche di
ordine economico dovute alla perdita di forza lavoro. Le limitazioni
alla libertà non vengono fatte per puro gusto sadico.
Siamo d'accordo. Ma in realtà le limitazioni alla libertà rivolte verso
l'esterno vengono a volte adottate proprio per difendere le libertà di
cui si gode *all'interno*.
Anche quelle rivolte verso l'interno vengono fatte per difendere altre
libertà. C'è sempre un motivo, quando si va a limitare la libertà.
D'accordo sulla esistenza di un motivo alla base della limitazione della
libertà. Mentre rimane da vedere se si tratti sempre di "difesa di
libertà".
Il motivo è sempre, in ultima analisi, quello di difendere delle libertà di
qualcuno, a scapito di quelle di qualcun altro.
Ciò che rimane da vedere è quali libertà hanno la priorità e quali possono
essere sacrificate.
Diciamo che il motivo è sempre la difesa di un interesse. Il concetto
di "libertà" può poi intervenire a vari livelli nella spiegazione
dell'interesse.
posi
2024-03-24 03:20:02 UTC
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Post by Marco V.
Sì, ma dicendo che "quando si assume una decisione se ne accettano le
conseguenze" non sempre vogliamo dire che che quando si assumono delle
decisioni è perché se ne sono valutate (ed accettate) le conseguenze.
Con la prima frase non si intende fornire una spiegazione dei motivi
alla base dell'assunzione della decisione; anche se la seconda può
spiegare, restringendo il raggio delle conseguenze, perché la prima è vera.
Dipende dal contesto: se lo diciamo ad un bambino, è per dargli una
lezione di responsabilità.

Se parliamo delle decisioni prese da persone adulte, e soprattutto capi
di stato, mi sembra chiaro che si intenda fornire una spiegazione dei
motivi alla base dell'assunzione della decisione.
Post by Marco V.
Diciamo che il motivo è sempre la difesa di un interesse. Il concetto di
"libertà" può poi intervenire a vari livelli nella spiegazione
dell'interesse.
Sì, difesa di un interessa. La libertà ci si può infilare sempre in
qualche modo nella spiegazione dell'interesse.
pcf ansiagorod
2024-03-02 12:57:17 UTC
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Prendi un grande produttore, o comunque un detentore di
ingenti risorse, che finanzia "ong" che mirano a perturbare
l'assetto del rapporto tra società civile e società politica
in "altri" paesi, per esempio quelli tradizionalmente
sottoposti, secondo varie forme, all'influenza dell'impero
russo. Che abbia la "simpatia" da parte di molti occidentali,
soprattutto di quelli che un tempo avevano creduto nella
"rivoluzione", questo è facilmente spiegabile. Ma perché lo
fa?
Mi piacerebbe sapere qual sia la tua risposta (e ovviamente di
chi altri volesse).
Non sempre i commercianti erano titolari di diritti politici.
Nella democrazia ateniese per questo si innescò un violento
conflitto.
Se ricordo bene in Cina e Giappone erano più o meno odiati a
seconda del periodo storico. Questo mi fa pensare che ci sia un
comune denominatore al di là della percezione del mercante come
furbo approfittatore. Non so.
Marco V.
2024-03-02 21:35:46 UTC
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Prendi un grande produttore, o comunque un detentore di ingenti risorse,
che finanzia "ong" che mirano a perturbare l'assetto del rapporto tra
società civile e società politica in "altri" paesi, per esempio quelli
tradizionalmente sottoposti, secondo varie forme, all'influenza dell'impero
russo. Che abbia la "simpatia" da parte di molti occidentali, soprattutto
di quelli che un tempo avevano creduto nella "rivoluzione", questo è
facilmente spiegabile. Ma perché lo fa?
Mi piacerebbe sapere qual sia la tua risposta (e ovviamente di chi altri
volesse).
E' più o meno quella che si può derivare (sempre per via ipotetica,
perché i fini dell'agire non ce li abbiamo dispiegati davanti agli
occhi) guardando, ad esempio, all'agire dell'"imprenditore della
democrazia" Soros, attivo (se dobbiamo credere a quello che lui stesso
asserisce) in Ucraina e su altri fronti critici. La compenetrazione tra
i due termini del binomio "free market&democracy" è diventata così
forte che una risposta che crede di potersi collocare esclusivamente
nel campo economico finisce invece con l'interessare anche il campo
ideologico-politico. Lo stesso vale per il consumo, che ha assorbito
pratiche di liberazione antropologica un tempo prerogativa delle
religioni.
Non sempre i commercianti erano titolari di diritti politici. Nella
democrazia ateniese per questo si innescò un violento conflitto.
Se ricordo bene in Cina e Giappone erano più o meno odiati a seconda del
periodo storico. Questo mi fa pensare che ci sia un comune denominatore al di
là della percezione del mercante come furbo approfittatore. Non so.
Credo che ciò dipenda dal fatto che in ogni cultura il mercante veicola
sotto varie forme l"alterità".
posi
2024-03-02 13:26:32 UTC
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Prendi un grande produttore, o
comunque un detentore di ingenti risorse, che finanzia "ong" che mirano
a perturbare l'assetto del rapporto tra società civile e società
politica in "altri" paesi, per esempio quelli tradizionalmente
sottoposti, secondo varie forme, all'influenza dell'impero russo. Che
abbia la "simpatia" da parte di molti occidentali, soprattutto di quelli
che un tempo avevano creduto nella "rivoluzione", questo è facilmente
spiegabile. Ma perché lo fa?
Ovvio: perché vede un ritorno economico. Allargare il mercato è sempre
conveniente per il produttore: nuovi consumatori si acquisiscono in un
attimo. Ovviamente si acquisiranno anche nuovi concorrenti, ma si parte
avvantaggiati rispetto a loro.

Ovviamente le ONG sono spinte da altri fini: filantropici, ideologici,
politici. Io mi riferisco al grande produttore che le finanzia.
Marco V.
2024-03-03 00:35:15 UTC
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Post by posi
Prendi un grande produttore, o comunque un detentore di ingenti risorse,
che finanzia "ong" che mirano a perturbare l'assetto del rapporto tra
società civile e società politica in "altri" paesi, per esempio quelli
tradizionalmente sottoposti, secondo varie forme, all'influenza dell'impero
russo. Che abbia la "simpatia" da parte di molti occidentali, soprattutto
di quelli che un tempo avevano creduto nella "rivoluzione", questo è
facilmente spiegabile. Ma perché lo fa?
Ovvio: perché vede un ritorno economico. Allargare il mercato è sempre
conveniente per il produttore: nuovi consumatori si acquisiscono in un
attimo. Ovviamente si acquisiranno anche nuovi concorrenti, ma si parte
avvantaggiati rispetto a loro.
Ovviamente le ONG sono spinte da altri fini: filantropici, ideologici,
politici. Io mi riferisco al grande produttore che le finanzia.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione di
continuità i tre termini che hai giustamente usato per descriverne i
fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero
mercato, con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie,
possiamo ancora descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo la
condotta del grande produttore, assimilandola a quella del "macellaio"
che apre un nuovo negozio nel paese limitrofo?
posi
2024-03-03 13:54:58 UTC
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Post by Marco V.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione di
continuità i tre termini che hai giustamente usato per descriverne i
fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero mercato,
con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie, possiamo ancora
descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo la condotta del grande
produttore, assimilandola a quella del "macellaio" che apre un nuovo
negozio nel paese limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si generi,
ma comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per il grande
produttore.
Marco V.
2024-03-05 16:55:11 UTC
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Post by Marco V.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione di
continuità i tre termini che hai giustamente usato per descriverne i fini,
nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi consumatori
corrisponde alla creazione di una società di libero mercato, con tutte le
infrastrutture socio-politiche necessarie, possiamo ancora descrivere in
quel modo, diciamo così, deflattivo la condotta del grande produttore,
assimilandola a quella del "macellaio" che apre un nuovo negozio nel paese
limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si generi, ma
comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per il grande produttore.
Aspetta, "deflattivo" lo intendevo nel senso di "riduttivo" o se vuoi
"banalizzante". Come a dire che alla fine della storia il grande
produttore (o detentore di ingenti risorse finanziarie) che di fatto
finanzia la creazione di una società di libero mercato laddove esiste o
esisteva un'altra forma sociale sta facendo la stessa cosa del signor
Giuseppe, che dopo aver fatto fortuna con la sua macelleria a Lambrugo
(CO) ne apre un'altra nella limitrofa Tabiago. E' così per te?
posi
2024-03-05 18:24:53 UTC
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Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione di
continuità i tre termini che hai giustamente usato per descriverne i
fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero
mercato, con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie,
possiamo ancora descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo la
condotta del grande produttore, assimilandola a quella del
"macellaio" che apre un nuovo negozio nel paese limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si generi,
ma comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per il grande
produttore.
Aspetta, "deflattivo" lo intendevo nel senso di "riduttivo" o se vuoi
"banalizzante". Come a dire che alla fine della storia il grande
produttore (o detentore di ingenti risorse finanziarie) che di fatto
finanzia la creazione di una società di libero mercato laddove esiste o
esisteva un'altra forma sociale sta facendo la stessa cosa del signor
Giuseppe, che dopo aver fatto fortuna con la sua macelleria a Lambrugo
(CO) ne apre un'altra nella limitrofa Tabiago. E' così per te?
Facendo le dovute proporzioni, sì.
Marco V.
2024-03-05 21:35:23 UTC
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Post by posi
Post by Marco V.
Post by Marco V.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione di
continuità i tre termini che hai giustamente usato per descriverne i
fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero mercato,
con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie, possiamo ancora
descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo la condotta del grande
produttore, assimilandola a quella del "macellaio" che apre un nuovo
negozio nel paese limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si generi, ma
comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per il grande produttore.
Aspetta, "deflattivo" lo intendevo nel senso di "riduttivo" o se vuoi
"banalizzante". Come a dire che alla fine della storia il grande produttore
(o detentore di ingenti risorse finanziarie) che di fatto finanzia la
creazione di una società di libero mercato laddove esiste o esisteva
un'altra forma sociale sta facendo la stessa cosa del signor Giuseppe, che
dopo aver fatto fortuna con la sua macelleria a Lambrugo (CO) ne apre
un'altra nella limitrofa Tabiago. E' così per te?
Facendo le dovute proporzioni, sì.
Bene, allora uno stato differente da quello in cui il "signor Giuseppe"
ha la sua sede legale potrebbe avere qualche ragione di sospettare
delle sue intenzioni, e non semplicemente per il timore di un danno
economico. Quando un agire economico assume un valore politico si
ritrova nella dimensione politica.
posi
2024-03-05 21:59:39 UTC
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Post by Marco V.
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Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione
di continuità i tre termini che hai giustamente usato per
descriverne i fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero
mercato, con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie,
possiamo ancora descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo
la condotta del grande produttore, assimilandola a quella del
"macellaio" che apre un nuovo negozio nel paese limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si
generi, ma comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per il
grande produttore.
Aspetta, "deflattivo" lo intendevo nel senso di "riduttivo" o se vuoi
"banalizzante". Come a dire che alla fine della storia il grande
produttore (o detentore di ingenti risorse finanziarie) che di fatto
finanzia la creazione di una società di libero mercato laddove esiste
o esisteva un'altra forma sociale sta facendo la stessa cosa del
signor Giuseppe, che dopo aver fatto fortuna con la sua macelleria a
Lambrugo (CO) ne apre un'altra nella limitrofa Tabiago. E' così per te?
Facendo le dovute proporzioni, sì.
Bene, allora uno stato differente da quello in cui il "signor Giuseppe"
ha la sua sede legale potrebbe avere qualche ragione di sospettare delle
sue intenzioni, e non semplicemente per il timore di un danno economico.
Quando un agire economico assume un valore politico si ritrova nella
dimensione politica.
Di quali intenzioni si deve sospettare?

Se il signor Giuseppe dichiara senza troppi fronzoli di voler aumentare
il suo fatturato, non c'è motivo di sospettare: vuole proprio aumentare
il suo fatturato.
Marco V.
2024-03-07 20:58:49 UTC
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Post by Marco V.
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Post by Marco V.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione di
continuità i tre termini che hai giustamente usato per descriverne i
fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero
mercato, con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie,
possiamo ancora descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo la
condotta del grande produttore, assimilandola a quella del "macellaio"
che apre un nuovo negozio nel paese limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si generi,
ma comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per il grande
produttore.
Aspetta, "deflattivo" lo intendevo nel senso di "riduttivo" o se vuoi
"banalizzante". Come a dire che alla fine della storia il grande
produttore (o detentore di ingenti risorse finanziarie) che di fatto
finanzia la creazione di una società di libero mercato laddove esiste o
esisteva un'altra forma sociale sta facendo la stessa cosa del signor
Giuseppe, che dopo aver fatto fortuna con la sua macelleria a Lambrugo
(CO) ne apre un'altra nella limitrofa Tabiago. E' così per te?
Facendo le dovute proporzioni, sì.
Bene, allora uno stato differente da quello in cui il "signor Giuseppe" ha
la sua sede legale potrebbe avere qualche ragione di sospettare delle sue
intenzioni, e non semplicemente per il timore di un danno economico. Quando
un agire economico assume un valore politico si ritrova nella dimensione
politica.
Di quali intenzioni si deve sospettare?
Se il signor Giuseppe dichiara senza troppi fronzoli di voler aumentare il
suo fatturato, non c'è motivo di sospettare: vuole proprio aumentare il suo
fatturato.
Nelle dichiarazioni (visto che le hai tirate in mezzo) dei grandi
produttori e grandi finanziatori ci troviamo scritto solamente che
vogliono aumentare il loro "fatturato"? Tutt'altro!
Ma non è delle dichiarazioni che bisogna occuparsi, ma di come dover
valutare la circostanza (assunta per ipotesi) in cui un agire economico
finanzia la creazione di una società di libero mercato. Non è che
siccome le intenzioni (e il modo in cui esse fanno essere le cose mezzi
e fini) non le possiamo guardare in faccia, allora non ha senso porsi
il problema di quella valutazione. Quello che sostengo è che gli
effetti di quell'agire economico ricadono massicciamente nel campo
*politico* ed è per questa ragione che quel grande
produttore/finanziatore non è considerabile come un qualsiasi "sciur
Pepin". Se poi lui crede di esserlo (ma le dichiarazioni sembrano
smentirlo), affari suoi.
posi
2024-03-07 22:11:03 UTC
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Post by Marco V.
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D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione
di continuità i tre termini che hai giustamente usato per
descriverne i fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero
mercato, con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie,
possiamo ancora descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo
la condotta del grande produttore, assimilandola a quella del
"macellaio" che apre un nuovo negozio nel paese limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si
generi, ma comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per
il grande produttore.
Aspetta, "deflattivo" lo intendevo nel senso di "riduttivo" o se
vuoi "banalizzante". Come a dire che alla fine della storia il
grande produttore (o detentore di ingenti risorse finanziarie) che
di fatto finanzia la creazione di una società di libero mercato
laddove esiste o esisteva un'altra forma sociale sta facendo la
stessa cosa del signor Giuseppe, che dopo aver fatto fortuna con la
sua macelleria a Lambrugo (CO) ne apre un'altra nella limitrofa
Tabiago. E' così per te?
Facendo le dovute proporzioni, sì.
Bene, allora uno stato differente da quello in cui il "signor
Giuseppe" ha la sua sede legale potrebbe avere qualche ragione di
sospettare delle sue intenzioni, e non semplicemente per il timore di
un danno economico. Quando un agire economico assume un valore
politico si ritrova nella dimensione politica.
Di quali intenzioni si deve sospettare?
Se il signor Giuseppe dichiara senza troppi fronzoli di voler
aumentare il suo fatturato, non c'è motivo di sospettare: vuole
proprio aumentare il suo fatturato.
Nelle dichiarazioni (visto che le hai tirate in mezzo) dei grandi
produttori e grandi finanziatori ci troviamo scritto solamente che
vogliono aumentare il loro "fatturato"? Tutt'altro!
Ma non è delle dichiarazioni che bisogna occuparsi, ma di come dover
valutare la circostanza (assunta per ipotesi) in cui un agire economico
finanzia la creazione di una società di libero mercato. Non è che
siccome le intenzioni (e il modo in cui esse fanno essere le cose mezzi
e fini) non le possiamo guardare in faccia, allora non ha senso porsi il
problema di quella valutazione. Quello che sostengo è che gli effetti di
quell'agire economico ricadono massicciamente nel campo *politico* ed è
per questa ragione che quel grande produttore/finanziatore non è
considerabile come un qualsiasi "sciur Pepin". Se poi lui crede di
esserlo (ma le dichiarazioni sembrano smentirlo), affari suoi.
Ho l'impressione che tu stia scambiando la causa con l'effetto.

La realtà è che *prima* si verifica una situazione politica di apertura
al libero mercato e disponibilità da parte del governo ad accogliere
investimenti di capitale straniero, *poi*, come conseguenza, arriva il
signor Giuseppe a portare tutta la sua "benevolenza", se ti piace
chiamarla così, con tutte le sue varie dichiarazioni che possono essere
le più disparate ma che certo non nascondono quello che è per
definizione lo scopo di una impresa: produrre profitto. Ma senza il
permesso del regime, il signor Giuseppe nemmeno ci mette piede quel paese.

Sembra invece che tu voglia sostenere che la situazione politica sia una
*conseguenza* di quell'agire economico. Come se gli Stati Uniti
volessero o potessero rovesciare il regime di Kim Jong-un con i McDonald's.
Marco V.
2024-03-18 19:42:42 UTC
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Post by Marco V.
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Post by Marco V.
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Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
D'accordo sulle ong, se si è disposti ad assumere senza soluzione di
continuità i tre termini che hai giustamente usato per descriverne i
fini, nell'ordine in cui li hai elencati.
Circa il primo punto, secondo te quando l'acquisizione di nuovi
consumatori corrisponde alla creazione di una società di libero
mercato, con tutte le infrastrutture socio-politiche necessarie,
possiamo ancora descrivere in quel modo, diciamo così, deflattivo la
condotta del grande produttore, assimilandola a quella del
"macellaio" che apre un nuovo negozio nel paese limitrofo?
La deflazione l'hai tirata fuori tu adesso. Non è detto che si generi,
ma comunque, deflazione o no, c'è un ritorno positivo per il grande
produttore.
Aspetta, "deflattivo" lo intendevo nel senso di "riduttivo" o se vuoi
"banalizzante". Come a dire che alla fine della storia il grande
produttore (o detentore di ingenti risorse finanziarie) che di fatto
finanzia la creazione di una società di libero mercato laddove esiste o
esisteva un'altra forma sociale sta facendo la stessa cosa del signor
Giuseppe, che dopo aver fatto fortuna con la sua macelleria a Lambrugo
(CO) ne apre un'altra nella limitrofa Tabiago. E' così per te?
Facendo le dovute proporzioni, sì.
Bene, allora uno stato differente da quello in cui il "signor Giuseppe"
ha la sua sede legale potrebbe avere qualche ragione di sospettare delle
sue intenzioni, e non semplicemente per il timore di un danno economico.
Quando un agire economico assume un valore politico si ritrova nella
dimensione politica.
Di quali intenzioni si deve sospettare?
Se il signor Giuseppe dichiara senza troppi fronzoli di voler aumentare il
suo fatturato, non c'è motivo di sospettare: vuole proprio aumentare il
suo fatturato.
Nelle dichiarazioni (visto che le hai tirate in mezzo) dei grandi
produttori e grandi finanziatori ci troviamo scritto solamente che vogliono
aumentare il loro "fatturato"? Tutt'altro!
Ma non è delle dichiarazioni che bisogna occuparsi, ma di come dover
valutare la circostanza (assunta per ipotesi) in cui un agire economico
finanzia la creazione di una società di libero mercato. Non è che siccome
le intenzioni (e il modo in cui esse fanno essere le cose mezzi e fini) non
le possiamo guardare in faccia, allora non ha senso porsi il problema di
quella valutazione. Quello che sostengo è che gli effetti di quell'agire
economico ricadono massicciamente nel campo *politico* ed è per questa
ragione che quel grande produttore/finanziatore non è considerabile come un
qualsiasi "sciur Pepin". Se poi lui crede di esserlo (ma le dichiarazioni
sembrano smentirlo), affari suoi.
Ho l'impressione che tu stia scambiando la causa con l'effetto.
La realtà è che *prima* si verifica una situazione politica di apertura al
libero mercato e disponibilità da parte del governo ad accogliere
investimenti di capitale straniero, *poi*, come conseguenza, arriva il signor
Giuseppe a portare tutta la sua "benevolenza", se ti piace chiamarla così,
con tutte le sue varie dichiarazioni che possono essere le più disparate ma
che certo non nascondono quello che è per definizione lo scopo di una
impresa: produrre profitto. Ma senza il permesso del regime, il signor
Giuseppe nemmeno ci mette piede quel paese.
Sembra invece che tu voglia sostenere che la situazione politica sia una
*conseguenza* di quell'agire economico. Come se gli Stati Uniti volessero o
potessero rovesciare il regime di Kim Jong-un con i McDonald's.
Non sto sostenendo quello. Sto dicendo che se per valutare l'agire dei
soggetti economici con residenza legale straniera (chiamiamoli pure
"occidentali") che hanno di fatto contributo a far esistere una nuova
forma sociale laddove preesisteva soltanto una situazione giuridica di
apertura al libero mercato (es. nei paesi del blocco sovietico
all'indomani della disintegrazione dell'URSS) applichiamo senza
modificarlo di una virgola il racconto che spiega che cosa fa il signor
Giuseppe quando apre una nuovo negozio, stiamo prendendo un abbaglio.
posi
2024-03-19 19:49:09 UTC
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Post by Marco V.
Non sto sostenendo quello. Sto dicendo che se per valutare l'agire dei
soggetti economici con residenza legale straniera (chiamiamoli pure
"occidentali") che hanno di fatto contributo a far esistere una nuova
forma sociale laddove preesisteva soltanto una situazione giuridica di
apertura al libero mercato (es. nei paesi del blocco sovietico
all'indomani della disintegrazione dell'URSS) applichiamo senza
modificarlo di una virgola il racconto che spiega che cosa fa il signor
Giuseppe quando apre una nuovo negozio, stiamo prendendo un abbaglio.
Allora spiegami in che consiste l'abbaglio, anche perché la nuova forma
sociale di cui parli non è altro che quel libero mercato che il paese
stesso ha scelto di accogliere, a sua volta mosso un tornaconto economico.
Marco V.
2024-03-23 21:38:22 UTC
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Post by posi
Post by Marco V.
Non sto sostenendo quello. Sto dicendo che se per valutare l'agire dei
soggetti economici con residenza legale straniera (chiamiamoli pure
"occidentali") che hanno di fatto contributo a far esistere una nuova forma
sociale laddove preesisteva soltanto una situazione giuridica di apertura
al libero mercato (es. nei paesi del blocco sovietico all'indomani della
disintegrazione dell'URSS) applichiamo senza modificarlo di una virgola il
racconto che spiega che cosa fa il signor Giuseppe quando apre una nuovo
negozio, stiamo prendendo un abbaglio.
Allora spiegami in che consiste l'abbaglio, anche perché la nuova forma
sociale di cui parli non è altro che quel libero mercato che il paese stesso
ha scelto di accogliere, a sua volta mosso un tornaconto economico.
La risposta è davanti ai nostri occhi, se sei d'accordo che valutare
(che qui significa: determinare il peso, l'importanza etc.) un agire
non si riduce in generale ad estrarne i fini, che coincidano o meno con
quelli dichiarati. Il fine del grande produttore in quella situazione
può essere "il profitto" intravisto, come lo è quello del macellaio che
apre il nuovo negozio. Ma per soppesarne l'agire dovremo utilizzare
concetti differenti da quelli cui ricorriamo nel caso del macellaio.
La situazione è per ipotesi quella in cui attraverso l'operare di forze
economiche esterne viene materialmente costruita, pezzo dopo pezzo, una
società di libero mercato laddove *non* esisteva. Le decisioni interne
non sono la costruzione di quella forma sociale. Inoltre, quando si
tratta di decisioni conseguenti alla sconfitta di un paese, al collasso
di una intera forma sociale etc., non sono riducibili a una questione
di tornaconto economico.
posi
2024-03-24 03:09:07 UTC
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Post by Marco V.
Post by posi
Post by Marco V.
Non sto sostenendo quello. Sto dicendo che se per valutare l'agire
dei soggetti economici con residenza legale straniera (chiamiamoli
pure "occidentali") che hanno di fatto contributo a far esistere una
nuova forma sociale laddove preesisteva soltanto una situazione
giuridica di apertura al libero mercato (es. nei paesi del blocco
sovietico all'indomani della disintegrazione dell'URSS) applichiamo
senza modificarlo di una virgola il racconto che spiega che cosa fa
il signor Giuseppe quando apre una nuovo negozio, stiamo prendendo un
abbaglio.
Allora spiegami in che consiste l'abbaglio, anche perché la nuova
forma sociale di cui parli non è altro che quel libero mercato che il
paese stesso ha scelto di accogliere, a sua volta mosso un tornaconto
economico.
La risposta è davanti ai nostri occhi, se sei d'accordo che valutare
(che qui significa: determinare il peso, l'importanza etc.) un agire non
si riduce in generale ad estrarne i fini, che coincidano o meno con
quelli dichiarati. Il fine del grande produttore in quella situazione
può essere "il profitto" intravisto, come lo è quello del macellaio che
apre il nuovo negozio. Ma per soppesarne l'agire dovremo utilizzare
concetti differenti da quelli cui ricorriamo nel caso del macellaio.
Sono d'accordo che non si limiti ad estrarne i fini: occorre considerare
tutte le conseguenze: tanto i fini, quanto gli effetti collaterali. Ma
continuo a non vedere la risposta che dici essere davanti ai nostri occhi.
Post by Marco V.
La situazione è per ipotesi quella in cui attraverso l'operare di forze
economiche esterne viene materialmente costruita, pezzo dopo pezzo, una
società di libero mercato laddove *non* esisteva. Le decisioni interne
non sono la costruzione di quella forma sociale.
A no? E quali sono?

Inoltre, quando si
Post by Marco V.
tratta di decisioni conseguenti alla sconfitta di un paese, al collasso
di una intera forma sociale etc., non sono riducibili a una questione di
tornaconto economico.
Dovresti farmi qualche esempio concreto, perché non capisco a cosa ti
riferisci.
Marco V.
2024-03-29 12:29:07 UTC
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Post by posi
Post by posi
Post by Marco V.
Non sto sostenendo quello. Sto dicendo che se per valutare l'agire dei
soggetti economici con residenza legale straniera (chiamiamoli pure
"occidentali") che hanno di fatto contributo a far esistere una nuova
forma sociale laddove preesisteva soltanto una situazione giuridica di
apertura al libero mercato (es. nei paesi del blocco sovietico
all'indomani della disintegrazione dell'URSS) applichiamo senza
modificarlo di una virgola il racconto che spiega che cosa fa il signor
Giuseppe quando apre una nuovo negozio, stiamo prendendo un abbaglio.
Allora spiegami in che consiste l'abbaglio, anche perché la nuova forma
sociale di cui parli non è altro che quel libero mercato che il paese
stesso ha scelto di accogliere, a sua volta mosso un tornaconto economico.
La risposta è davanti ai nostri occhi, se sei d'accordo che valutare (che
qui significa: determinare il peso, l'importanza etc.) un agire non si
riduce in generale ad estrarne i fini, che coincidano o meno con quelli
dichiarati. Il fine del grande produttore in quella situazione può essere
"il profitto" intravisto, come lo è quello del macellaio che apre il nuovo
negozio. Ma per soppesarne l'agire dovremo utilizzare concetti differenti
da quelli cui ricorriamo nel caso del macellaio.
Sono d'accordo che non si limiti ad estrarne i fini: occorre considerare
tutte le conseguenze: tanto i fini, quanto gli effetti collaterali. Ma
continuo a non vedere la risposta che dici essere davanti ai nostri occhi.
Se sei d'accordo che dire "che cosa" un agente sta facendo non si
riduce a descrivere i fini del suo agire, allora una risposta ce
l'abbiamo già: quei grandi produttori stanno contribuendo in modo
determinante a creare una nuova forma sociale. Non è così nel caso del
sciur Pepin che apre un nuovo negozio nel comune limitrofo.
Post by posi
La situazione è per ipotesi quella in cui attraverso l'operare di forze
economiche esterne viene materialmente costruita, pezzo dopo pezzo, una
società di libero mercato laddove *non* esisteva. Le decisioni interne non
sono la costruzione di quella forma sociale.
A no? E quali sono?
Ti risulta che le decisioni politico-giuridiche siano, per la realtà
sociale di una collettività, un fiat lux? Politici e giudici non sono
dèi, anche se a volte credono di esserlo.
Post by posi
Inoltre, quando si
tratta di decisioni conseguenti alla sconfitta di un paese, al collasso di
una intera forma sociale etc., non sono riducibili a una questione di
tornaconto economico.
Dovresti farmi qualche esempio concreto, perché non capisco a cosa ti
riferisci.
Da quello che hai scritto uno potrebbe ricavere l'immagine per cui il
passaggio dal "socialismo reale" alla società di libero mercato sia
stata una "scelta" dettata dalla maggiore convenienza, un po' come uno
che dentro il supermercato della storia, dopo un po' di
disorientamento, finalmente sceglie la forma sociale più conveniente.
Sarebbe un'immagine sbagliata, impregnata di una illusoria
"neutralità".
Marco V.
2024-03-29 12:31:56 UTC
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Post by posi
Post by posi
[...]
Allora spiegami in che consiste l'abbaglio, anche perché la nuova forma
sociale di cui parli non è altro che quel libero mercato che il paese
stesso ha scelto di accogliere, a sua volta mosso un tornaconto economico.
La risposta è davanti ai nostri occhi, se sei d'accordo che valutare (che
qui significa: determinare il peso, l'importanza etc.) un agire non si
riduce in generale ad estrarne i fini, che coincidano o meno con quelli
dichiarati. Il fine del grande produttore in quella situazione può essere
"il profitto" intravisto, come lo è quello del macellaio che apre il nuovo
negozio. Ma per soppesarne l'agire dovremo utilizzare concetti differenti
da quelli cui ricorriamo nel caso del macellaio.
Sono d'accordo che non si limiti ad estrarne i fini: occorre considerare
tutte le conseguenze: tanto i fini, quanto gli effetti collaterali. Ma
continuo a non vedere la risposta che dici essere davanti ai nostri occhi.
Se sei d'accordo che dire "che cosa" un agente sta facendo non si
riduce a descrivere i fini del suo agire, allora una risposta ce
l'abbiamo già: quei grandi produttori stanno contribuendo in modo
determinante a creare una nuova forma sociale (e inoltre ne terranno
conto nelle loro strategie). Non così il sciur Pepin.
Post by posi
La situazione è per ipotesi quella in cui attraverso l'operare di forze
economiche esterne viene materialmente costruita, pezzo dopo pezzo, una
società di libero mercato laddove *non* esisteva. Le decisioni interne non
sono la costruzione di quella forma sociale.
A no? E quali sono?
Ti risulta che le decisioni politiche siano, per la realtà sociale di
una collettività, un fiat lux?
Post by posi
Inoltre, quando si
tratta di decisioni conseguenti alla sconfitta di un paese, al collasso di
una intera forma sociale etc., non sono riducibili a una questione di
tornaconto economico.
Dovresti farmi qualche esempio concreto, perché non capisco a cosa ti
riferisci.
Da quello che hai scritto uno potrebbe ricavere l'immagine per cui il
passaggio dal "socialismo reale" alla società di libero mercato sia
stata una "scelta" dettata dalla maggiore convenienza, un po' come uno
che dentro il supermercato della storia, dopo un po' di
disorientamento, finalmente sceglie la forma sociale più conveniente.
Sarebbe un'immagine sbagliata, impregnata di una illusoria
"neutralità".
posi
2024-03-29 13:23:26 UTC
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Se sei d'accordo che dire "che cosa" un agente sta facendo non si riduce
quei grandi produttori stanno contribuendo in modo determinante a creare
una nuova forma sociale (e inoltre ne terranno conto nelle loro
strategie). Non così il sciur Pepin.
Sì ma volevo capire che cosa intendi per "nuova forma sociale" se non la
normale società di libero mercato.
Post by posi
Post by Marco V.
La situazione è per ipotesi quella in cui attraverso l'operare di
forze economiche esterne viene materialmente costruita, pezzo dopo
pezzo, una società di libero mercato laddove *non* esisteva. Le
decisioni interne non sono la costruzione di quella forma sociale.
A no? E quali sono?
Ti risulta che le decisioni politiche siano, per la realtà sociale di
una collettività, un fiat lux?
Come ho già detto, non assumo l'onniscenza, ma quanto meno la capacità
di prevedere le conseguenze più ovvie.
Post by posi
Inoltre, quando si
Post by Marco V.
tratta di decisioni conseguenti alla sconfitta di un paese, al
collasso di una intera forma sociale etc., non sono riducibili a una
questione di tornaconto economico.
Dovresti farmi qualche esempio concreto, perché non capisco a cosa ti
riferisci.
Da quello che hai scritto uno potrebbe ricavere l'immagine per cui il
passaggio dal "socialismo reale" alla società di libero mercato sia
stata una "scelta" dettata dalla maggiore convenienza, un po' come uno
che dentro il supermercato della storia, dopo un po' di disorientamento,
finalmente sceglie la forma sociale più conveniente. Sarebbe un'immagine
sbagliata, impregnata di una illusoria "neutralità".
La scelta della maggior convenienza non è necessariamente quella di chi
al supermercato tentenna qualche secondo per capire qual è il prodotto
col miglior rapporto qualità/prezzo.

Può essere anche quella di chi ci ha impiegato 68 per capirlo, perché
magari, quando fai i piani quinquennali, le conseguenze non le vedi
subito, ma vanno valutate a lungo termine.

Può essere quella di chi, mosso da ideali di giustizia e uguaglianza, ha
realizzato quella che riteneva essere una società perfetta, e alla fine
si rende conto che quella che ha costruito è solo una enorme prigione
dalla quale i cittadini tentano in tutti i modi di fuggire, anche
sacrificando la propria vita, e quando vede che persino quei pochi
privilegiati che hanno ottenuto il permesso di uscire ne approfittano
per non tornare più a casa, capisce che quel sistema non funziona e
porta solo a povertà e disperazione.
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