Discussione:
Un problema di riduzione (x Marco e posi)
(troppo vecchio per rispondere)
Loris Dalla Rosa
2024-02-11 15:19:09 UTC
Permalink
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il turco", diventato troppo lungo.
E' un po' complesso e non mi sento di chiedere a tutti la pazienza di
seguirlo fino in fondo:-)]
Vedo che la discussione sulla questione delle due nozioni del
possibile (la seconda, quella allargata che rende impossibile al
possibile di includere il necessario, è costituita da una
*congiunzione*, come hai notato) è ripresa e a riguardo non avrei nulla
da aggiungere a quanto già detto nel thread su Cacciari: un filosofo
non può limitarsi a disambiguare usando segni differenti.
E' proprio Cacciari, il 3D che hai aperto con la citazione da
"Metafisica concreta", il lontano progenitore di questo e del precedente.
Una parte significativa della citazione, perche' gia' introduttiva della
questione con posi, e' questa:

<<Formalmente, possiamo dire necessario ciò che è *impossibile* non sia
sia. Opposto al necessario sta perciò l'impossibile. Non certo il
*contingente*; infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove
valga ecco che esso risulta necessario. Non vi è alcuna contrarietà tra
necessario e contingente; essi appaiono chiaramente compatibili.>>

La questione che si e' sviluppata si e' incentrata sul significato di
"possibile" in relazione con i futuri contingenti, i particolare sulla
definizione da darne: la definizione A: "possibile e' cio' che non e'
necessario che non sia" (o, in modo esplicitamente vero-funzionale,
"...che non e' necessariamente falso") e la deefinizione B, che e' la A
con l'aggiunta della coordinata "e che non e' necessario che sia".
Posi dice giustamente che la A e' quella che normalmente usano i logici,
io sostengo la B, sollevando la questione se essa sia sufficiente per
evitare una ambiguita' che sarebbe esiziale per la precisione logica e
consistente nel possibile fraintendimento tra possibile in senso
allargato (come l'hai chiamato tu) e nel senso del possibile del
necessario (l'"ab esse ad posset valet consequentia" della Scolastica).
Un'ambiguita' che puo' generare una contraddizione e imputabile allo
stesso Aristotele, o perlomeno sospettabile in qualche passo del "De
interpretatione", non avendo ben distinto anche nominalmente i due sensi
del possibile. Questa la questione in sintesi. In tale contesto io ho
insistito, tenendo sempre presente il problema dei futuribili e un po'
scimmiottando ironicamente la "metafisica concreta" di Cacciari, per
dare alla questione un taglio di *logica* concreta, aderente alla
realta' fattuale, in cui le modalita' logiche abbiano un carattere
vero-funzionale, evitando il proliferare di modalita' di secondo, terzo
o di qualunque altro grado. Ho posto insomma il problema della riduzione
delle modalita' a quelle di primo grado, e a questo punto ho introdotto
come esempio quella formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
apparentemente (non solo per me) paradossale:

◊◻P = ◻P

Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di
quello di via Verulana, perche' sarebbe intercambiabile con questa:
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che di
logica.
Ma una soluzione alternativa ci sarebbe, di tipo di semantica dei
simboli modali: se col segno ◊ si intendesse la possibilita' del
*necessario*, non ci sarebbe piu' alcun paradosso vero o apparente.
Infatti se P e' possibilmente necessario (cioe' possibile nel senso
della possibilita' del necessario), esso e' necessario in almeno un
mondo possibile; percio' e' necessario in tutti i mondi possibili e di
conseguenza vero in tutti essi. (Questo renderebbe il simbolo ◊
superfluo? No, perche' p.e. la necessita' che tutti gli uomini sono
mortali implica la possibilita' del necessario che Tizio sia mortale,
che Caio lo sia ecc.)
Questo pero' renderebbe di natura del tutto diversa la nostra questione,
perche' si dovrebbe rifiutare la def.B, ed essendo (la questione) legata
all'incertezza dei futuri contingenti, e' di natura *epistemica*, mentre
con quanto detto diventa esclusivamente *ontologica* (come lo diventa
immediatamente per il Cacciari della citazione all'inizio di questo
lungo post). Sul piano ontologico l'epistemologia non ha cittadinanza,
ma nemmeno l'inverso
Ma a proposito di letture intuitive o meno di una stessa formula, non
trovi che se rimpiazziamo il termine a sinistra della formula
dimostrabile in S5 'Poss(Nec(P))=Nec(P)' con la nozione logica di
possibilità come non necessità dell'opposto svanisce ogni intuitività?
Infatti l'intuizione per cui si può capire perché se è possibile che
qualcosa sia necessario allora è necessario non funziona più se al
posto di "è possibile che qualcosa sia necessario" mettiamo "non è
necessario che qualcosa non sia necessario". Per quale ragione se non è
necessario che qualcosa non sia necessario, quella cosa dovrebbe
essere >necessaria? Un problema simile si verifica a proposito della
famosa formula della Barcan ("se è possibile che qualcosa esiste, esiste
qualcosa che è possibile"), anch'essa dimostrabile in S5. Qui è la sua
inversa ad essere intuitiva, mentre non lo è affatto la formula, che fa
passare dalla possibilità de dicto a quella de re. Ci vuole poco per
farla interagire con il problema dell'essere perfettissimo D: se è
possibile che esista x tale che x=D, allora *esiste* x tale che è
possibile che x=D.
Beh Marco, ho detto sopra molte cose che avevo intenzione di dire qui
sotto. Mi sembra inutile ripeterle in altro modo. Tutto questo, a
proposito di filosofi, quello dell'essere perfettissimo cui alludi, puo'
gettare l'ombra di una petizione di principio sulla sua famosa
dimostrazione. Ma adesso non e' il caso di allungare ancora questo post
(che non rileggo, per cui scusami se c'e' qualche refuso)
Un saluto,
Loris
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
posi
2024-02-11 19:05:56 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove
valga ecco che esso risulta necessario.
Focalizziamoci meglio su questa frase.

Assumendo che Cacciari adotti per "contingente" la definizione ◊P ∧ ◊-P,
il fatto che lui ci dica che "vale in *qualcosa*", anziché un più
generico "può valere", suggerirebbe che stia adottando
un'interpretazione del tipo "necessario = vale per tutti", "possibile =
vale in qualcosa", "contingente = vale in qualcosa, ma non vale in
qualcos'altro".

Dopo, però, prosegue dicendo "là dove valga ecco che esso risulta
necessario". Ma chiaramente, in questo caso, per "necessario" non
intende che "vale per tutti". Intende qualcos'altro, non importa cosa
(vale con sicurezza, vale inesorabilmente...) ma comunque si pone su un
piano diverso, non confrontabile con la frase precedente.

Quindi le possibilità sono due: o Cacciari si è sbagliato, oppure
attribuisce a "contingente" un'interpretazione modale del tutto separata
e indipendente da quella di "necessario" e "possibile". In tal caso ha
ragione a dire che "necessario" e "contingente" siano compatibili,
perché se ci si pone su piani diversi è ovvio che le incompatibilità non
potranno mai sorgere.
Post by Loris Dalla Rosa
Ho posto insomma il problema della riduzione
delle modalita' a quelle di primo grado, e a questo punto ho introdotto
come esempio quella formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
◊◻P = ◻P
E' il famoso "assioma 5", possiamo anche indicarlo, più precisamente:

◊◻P -> ◻P

Visto che l'implicazione inversa è abbastanza ovvia, e quella su cui
invece stiamo discutendo è quella diretta.
Post by Loris Dalla Rosa
Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che di
logica.
Non esageriamo. Laddove le coppie ◊◻ e ◻◻ sono intercambiabili, è
inutile ricorrere a modalità di secondo grado e tanto vale scrivere
semplicemente ◻.

Che non vuol dire occuparci di orticultura invece che di logica. Vuol
dire semplicemente non complicarsi la vita inutilmente.

La ratio quest'assioma consiste nel chiedersi se e che senso abbia
utilizzare modalità di secondo grado.

Ci sono molte interpretazioni per le quali la modalità di secondo grado
ha effettivamente un senso. Io ho fatto l'esempio del sistema giuridico
di un paese, nel quale la necessità rappresenta la legge ordinaria e la
necessità di una necessità rappresenta la costituzione. Ovviamente, il
fatto che la costituzione *permetta* una certa legge non implica che
quella legge verrà promulgata, e quindi l'assioma 5 non è applicabile.

Nel caso dell'ontologia, invece, se una cosa non è necessaria, *non può*
essere necessaria: non ha senso parlare della "possibilità di una
necessità", se non per esprimere quella che, più semplicemente, è una
"necessità". Quindi direi che in quest'interpretazione l'assioma 5 è
applicabile.
Loris Dalla Rosa
2024-02-12 10:41:15 UTC
Permalink
Post by posi
infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove valga ecco che
esso risulta necessario.
Focalizziamoci meglio su questa frase.
Assumendo che Cacciari adotti per "contingente" la definizione ◊P ∧ ◊-P,
il fatto che lui ci dica che "vale in *qualcosa*", anziché un più
generico "può valere", suggerirebbe che stia adottando
un'interpretazione del tipo "necessario = vale per tutti", "possibile =
vale in qualcosa", "contingente = vale in qualcosa, ma non vale in
qualcos'altro".
Dopo, però, prosegue dicendo "là dove valga ecco che esso risulta
necessario". Ma chiaramente, in questo caso, per "necessario" non
intende che "vale per tutti". Intende qualcos'altro, non importa cosa
(vale con sicurezza, vale inesorabilmente...) ma comunque si pone su un
piano diverso, non confrontabile con la frase precedente.
Quindi le possibilità sono due: o Cacciari si è sbagliato, oppure
attribuisce a "contingente" un'interpretazione modale del tutto separata
e indipendente da quella di "necessario" e "possibile". In tal caso ha
ragione a dire che "necessario" e "contingente" siano compatibili,
perché se ci si pone su piani diversi è ovvio che le incompatibilità non
potranno mai sorgere.
Talvolta la Sibilla cumana e' piu' chiara di Cacciari:-). Comunque,
secondo me, si puo' spiegare leggendo l'ultima parte della citazione:

<<Non vi è alcuna contrarietà tra necessario e contingente; essi
appaiono chiaramente compatibili [...] Inoltre, in nessun modo è
dimostrabile che ciò che capita qui-e-ora, che *questo caso*
precisamente determinato avrebbe potuto non accadere [...] Il
contingente, dunque, non si oppone al necessario ma, proprio come il
necessario, all'impossibile> [...] La contrarietà tra contingente e
necessario non è fatta apparire poiché nella relazione modale si
continua a intendere il contingente come ciò che può essere e non essere
- ma qui è l'errore, poiché il contingente *si dà* ed è impossibile non
sia o sia diversamente da come è>>.

A parte che poteva essere piu' preciso, dicendo "opposizione" invece che
"contrarieta'" tra contingente e necessario, visto che sono opposti per
contraddizione e non per contrarieta', qui sembra che intenda
"contingente" come appunto il contraddittorio di necessario e non come
l'unione di contingente e possibile: il contingente come cio' che in
positivo *e'* e non puo' non essere, nel caso in cui e', escludendo il
possibile come cio' che *non* e' e non puo' in quel caso essere. Appare
chiaro dicendo che nella relazione modale per contingente si intende,
invece, quello che hai scritto tu: ◊P ∧ ◊-P, l'unione pos P & pos non-P.
Sta cosi' delineando una prospettiva decisamente metafisico-ontologica,
e non gnoseologica. La lezione di Severino per Cacciari non e' passata
invano.
Post by posi
Ho posto insomma il problema della riduzione delle modalita' a quelle
di primo grado, e a questo punto ho introdotto come esempio quella
formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e apparentemente (non
◊◻P = ◻P
◊◻P -> ◻P
Visto che l'implicazione inversa è abbastanza ovvia, e quella su cui
invece stiamo discutendo è quella diretta.
Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che
di logica.
Non esageriamo. Laddove le coppie ◊◻ e ◻◻ sono intercambiabili, è
inutile ricorrere a modalità di secondo grado e tanto vale scrivere
semplicemente ◻.
Che non vuol dire occuparci di orticultura invece che di logica. Vuol
dire semplicemente non complicarsi la vita inutilmente.
La ratio quest'assioma consiste nel chiedersi se e che senso abbia
utilizzare modalità di secondo grado.
Ci sono molte interpretazioni per le quali la modalità di secondo grado
ha effettivamente un senso. Io ho fatto l'esempio del sistema giuridico
di un paese, nel quale la necessità rappresenta la legge ordinaria e la
necessità di una necessità rappresenta la costituzione. Ovviamente, il
fatto che la costituzione *permetta* una certa legge non implica che
quella legge verrà promulgata, e quindi l'assioma 5 non è applicabile.
Nel caso dell'ontologia, invece, se una cosa non è necessaria, *non può*
essere necessaria: non ha senso parlare della "possibilità di una
necessità", se non per esprimere quella che, più semplicemente, è una
"necessità". Quindi direi che in quest'interpretazione l'assioma 5 è
applicabile.
Sono d'accordo. Ma allora, in modalita' *aletica*, se dici, giustamente,
che per la coppia ◻◻, "nec nec", tanto vale scrivere "nec", perche' per
la coppia "pos nec" non si puo' dire altrettanto? Perche' per qualche
motivo non possono essere equivalenti. Secondo me occorre dare un senso
all'implicazione tra anecessario e possibile a livello di semantica dei
termini implicati, che e' un modo di usare la logica con i piedi ben
saldi sulla terra: nec -> pos e pos -> nec? O non puo' esserci doppia
implicazione? Lascio aperto l'interrogativo.
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
posi
2024-02-12 15:25:31 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
A parte che poteva essere piu' preciso, dicendo "opposizione" invece che
"contrarieta'" tra contingente e necessario, visto che sono opposti per
contraddizione e non per contrarieta', qui sembra che intenda
"contingente" come appunto il contraddittorio di necessario e non come
l'unione di contingente e possibile: il contingente come cio' che in
positivo *e'* e non puo' non essere, nel caso in cui e', escludendo il
possibile come cio' che *non* e' e non puo' in quel caso essere. Appare
chiaro dicendo che nella relazione modale per contingente si intende,
invece, quello che hai scritto tu: ◊P ∧ ◊-P, l'unione pos P & pos non-P.
Sta cosi' delineando una prospettiva decisamente metafisico-ontologica,
e non gnoseologica. La lezione di Severino per Cacciari non e' passata
invano.
Sebbene ci siano autori che definiscono il contingente come il
contraddittorio di necessario, non è il caso di Cacciari, visto che egli
stesso scrive "non si oppone al necessario, ma all'impossibile".

In realtà, a parte qualche piccola imprecisione, anche da quanto è
scritto nell'ultima parte emerge che il concetto è sostanzialmente
quello di ◊P ∧ ◊-P *ma* legato inscindibilmente ad una precisa
interpretazione, che è quella fattuale: in qualche caso è e in qualche
caso non è. Mentre considera un vero e proprio "errore" interpretarlo in
senso più astratto "ciò che può essere e può non essere".
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Nel caso dell'ontologia, invece, se una cosa non è necessaria, *non
può* essere necessaria: non ha senso parlare della "possibilità di una
necessità", se non per esprimere quella che, più semplicemente, è una
"necessità". Quindi direi che in quest'interpretazione l'assioma 5 è
applicabile.
Sono d'accordo. Ma allora, in modalita' *aletica*, se dici, giustamente,
che per la coppia ◻◻, "nec nec", tanto vale scrivere "nec", perche' per
la coppia "pos nec" non si puo' dire altrettanto?
Ti ho appena mostrato che in ontologia (che è una modalità aletica) *si
può* dire altrettanto.

Perche' per qualche
Post by Loris Dalla Rosa
motivo non possono essere equivalenti.
Però allora devi dirmeli questi motivi.

Secondo me occorre dare un senso
Post by Loris Dalla Rosa
all'implicazione tra anecessario e possibile a livello di semantica dei
termini implicati, che e' un modo di usare la logica con i piedi ben
saldi sulla terra: nec -> pos e pos -> nec? O non puo' esserci doppia
implicazione? Lascio aperto l'interrogativo.
Cerchiano di non fare confusione.

1) nec -> pos è un assioma abbastanza basilare, usato in quasi tutti i
sistemi modali

2) pos -> nec non esiste in nessun sistema modale, perché
sostanzialmente, se accoppiato alla 1, vuol dire *rinunciare* del tutto
alla logica modale e ridursi a quella binaria.

3) pos nec -> nec vuol dire rinunciare alla logica modale di livelli
superiori, e ridursi a quella di primo livello.
Loris Dalla Rosa
2024-02-12 17:08:16 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
A parte che poteva essere piu' preciso, dicendo "opposizione" invece
che "contrarieta'" tra contingente e necessario, visto che sono
opposti per contraddizione e non per contrarieta', qui sembra che
intenda "contingente" come appunto il contraddittorio di necessario e
non come l'unione di contingente e possibile: il contingente come cio'
che in positivo *e'* e non puo' non essere, nel caso in cui e',
escludendo il possibile come cio' che *non* e' e non puo' in quel caso
essere. Appare chiaro dicendo che nella relazione modale per
contingente si intende, invece, quello che hai scritto tu: ◊P ∧ ◊-P,
l'unione pos P & pos non-P. Sta cosi' delineando una prospettiva
decisamente metafisico-ontologica, e non gnoseologica. La lezione di
Severino per Cacciari non e' passata invano.
Sebbene ci siano autori che definiscono  il contingente come il
contraddittorio di necessario, non è il caso di Cacciari, visto che egli
stesso scrive "non si oppone al necessario, ma all'impossibile".
Proviamo a rileggere queste due frasi:
1)<<Non vi è alcuna contrarietà tra necessario e contingente; essi
appaiono chiaramente compatibili [...]

Qui doveva scrivere che non vi e' alcuna *contraddizione* tra necessario
e contingente, visto che la contrarieta' e' tra necessario e impossibile.

2) "La contrarietà tra contingente e necessario non è fatta apparire
poiché nella relazione modale si continua a intendere il contingente
come ciò che può essere e non essere - ma qui è l'errore, poiché il
contingente *si dà* ed è impossibile non sia o sia diversamente da come è>>.

Qui e' chiaro e corretto che parli di *contrarieta' tra necessario e
contingente, riducendo il contingente al *fatto* che e' quando e', cioe'
alla *necessita'* del suo essere in quanto *si dà*: la contrarieta' e'
allora correttamente tra il *necessario* che e' e l'*impossibile* che sia.
In realtà, a parte qualche piccola imprecisione, anche da quanto è
scritto nell'ultima parte emerge che il concetto è sostanzialmente
quello di ◊P ∧ ◊-P *ma* legato inscindibilmente ad una precisa
interpretazione, che è quella fattuale: in qualche caso è e in qualche
caso non è. Mentre considera un vero e proprio "errore" interpretarlo in
senso più astratto "ciò che può essere e può non essere".
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Nel caso dell'ontologia, invece, se una cosa non è necessaria, *non
può* essere necessaria: non ha senso parlare della "possibilità di
una necessità", se non per esprimere quella che, più semplicemente, è
una "necessità". Quindi direi che in quest'interpretazione l'assioma
5 è applicabile.
Sono d'accordo. Ma allora, in modalita' *aletica*, se dici,
giustamente, che per la coppia ◻◻, "nec nec", tanto vale scrivere
"nec", perche' per la coppia "pos nec" non si puo' dire altrettanto?
Ti ho appena mostrato che in ontologia (che è una modalità aletica) *si
può* dire altrettanto.
Post by Loris Dalla Rosa
 Perche' per qualche
motivo non possono essere equivalenti.
Però allora devi dirmeli questi motivi.
E' quello che sto chiedendo, visto che io non ne trovo.
Secondo me occorre dare un senso
Post by Loris Dalla Rosa
all'implicazione tra anecessario e possibile a livello di semantica
dei termini implicati, che e' un modo di usare la logica con i piedi
ben saldi sulla terra: nec -> pos e pos -> nec? O non puo' esserci
doppia implicazione? Lascio aperto l'interrogativo.
Cerchiano di non fare confusione.
Mi associo.
1) nec -> pos è un assioma abbastanza basilare, usato in quasi tutti i
sistemi modali
2) pos -> nec non esiste in nessun sistema modale, perché
sostanzialmente, se accoppiato alla 1, vuol dire *rinunciare* del tutto
alla logica modale e ridursi a quella binaria.
Perfettamente d'accordo. Infatti e' per questo che non trovo
giustificazione in questa riduzione: pos nec = nec, mentre ne trovo in
questa: nec nec=nec
3) pos nec -> nec vuol dire rinunciare alla logica modale di livelli
superiori, e ridursi a quella di primo livello.
Ma io vorrei sapere semplicemente se pos -> nec
o la conversa pos <- nec.
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
posi
2024-02-12 18:29:01 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Loris Dalla Rosa
A parte che poteva essere piu' preciso, dicendo "opposizione" invece
che "contrarieta'" tra contingente e necessario, visto che sono
opposti per contraddizione e non per contrarieta', qui sembra che
intenda "contingente" come appunto il contraddittorio di necessario e
non come l'unione di contingente e possibile: il contingente come
cio' che in positivo *e'* e non puo' non essere, nel caso in cui e',
escludendo il possibile come cio' che *non* e' e non puo' in quel
caso essere. Appare chiaro dicendo che nella relazione modale per
contingente si intende, invece, quello che hai scritto tu: ◊P ∧ ◊-P,
l'unione pos P & pos non-P. Sta cosi' delineando una prospettiva
decisamente metafisico-ontologica, e non gnoseologica. La lezione di
Severino per Cacciari non e' passata invano.
Sebbene ci siano autori che definiscono  il contingente come il
contraddittorio di necessario, non è il caso di Cacciari, visto che
egli stesso scrive "non si oppone al necessario, ma all'impossibile".
1)<<Non vi è alcuna contrarietà tra necessario e contingente; essi
appaiono chiaramente compatibili [...]
Qui doveva scrivere che non vi e' alcuna *contraddizione* tra necessario
e contingente, visto che la contrarieta' e' tra necessario e impossibile.
2) "La contrarietà tra contingente e necessario non è fatta apparire
poiché nella relazione modale si continua a intendere il contingente
come ciò che può essere e non essere - ma qui è l'errore, poiché il
contingente *si dà* ed è impossibile non sia o sia diversamente da come è>>.
Qui e' chiaro e corretto che parli di *contrarieta' tra necessario e
contingente, riducendo il contingente al *fatto* che e' quando e', cioe'
alla *necessita'* del suo essere in quanto *si dà*: la contrarieta' e'
allora correttamente tra il *necessario* che e' e l'*impossibile* che  sia.
Bene. Chiarita la questione su Cacciari.
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Nel caso dell'ontologia, invece, se una cosa non è necessaria, *non
può* essere necessaria: non ha senso parlare della "possibilità di
una necessità", se non per esprimere quella che, più semplicemente,
è una "necessità". Quindi direi che in quest'interpretazione
l'assioma 5 è applicabile.
Sono d'accordo. Ma allora, in modalita' *aletica*, se dici,
giustamente, che per la coppia ◻◻, "nec nec", tanto vale scrivere
"nec", perche' per la coppia "pos nec" non si puo' dire altrettanto?
Ti ho appena mostrato che in ontologia (che è una modalità aletica)
*si può* dire altrettanto.
Post by Loris Dalla Rosa
  Perche' per qualche
motivo non possono essere equivalenti.
Però allora devi dirmeli questi motivi.
E' quello che sto chiedendo, visto che io non ne trovo.
Perfetto. Se nemmeno tu trovi motivi per *non* dire che "pos nec" sia
equivalente a "nec", diciamolo.
Post by Loris Dalla Rosa
1) nec -> pos è un assioma abbastanza basilare, usato in quasi tutti i
sistemi modali
2) pos -> nec non esiste in nessun sistema modale, perché
sostanzialmente, se accoppiato alla 1, vuol dire *rinunciare* del
tutto alla logica modale e ridursi a quella binaria.
Perfettamente d'accordo. Infatti e' per questo che non trovo
giustificazione in questa riduzione: pos nec = nec, mentre ne trovo in
questa: nec nec=nec
Ma infatti la riduzione pos nec -> nec *non è* giustificata affatto da
pos -> nec. D'altra parte, se lo fosse, non sarebbe un assioma, ma un
teorema.

In quanto assioma, non è derivabile da nessun altro assioma. La sua
"giustificazione" e quella di eliminare le modalità di secondo livello
in tutti i contesti in cui queste modalità sono inutili. E' una sorta di
rasoio di Occam.
Post by Loris Dalla Rosa
3) pos nec -> nec vuol dire rinunciare alla logica modale di livelli
superiori, e ridursi a quella di primo livello.
Ma io vorrei sapere semplicemente se pos -> nec
o la conversa pos <- nec.
pos -> nec è il cosiddetto assioma D, vale in molti sistemi logici.
La conversa pos <- nec non vale praticamente mai perché se anche questa
(insieme alla diretta) valesse si avrebbe pos = nec, riducendosi ad una
logica classica. La quale è applicabile in molti contesti, ma a quel
punto è inutile usare le formalizzazioni della logica modale.

Analogamente, possiamo dire che nec -> pos nec è abbastanza ovvia. Se a
questa aggiungiamo la conversa pos nec -> nec, ci si riduce ad una
modalità di primo livello. Di nuovo: in alcuni contesti può andare bene,
in altri no.
Loris Dalla Rosa
2024-02-12 21:42:49 UTC
Permalink
[...]
Post by posi
Bene. Chiarita la questione su Cacciari.
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Nel caso dell'ontologia, invece, se una cosa non è necessaria, *non
può* essere necessaria: non ha senso parlare della "possibilità di
una necessità", se non per esprimere quella che, più semplicemente,
è una "necessità". Quindi direi che in quest'interpretazione
l'assioma 5 è applicabile.
Sono d'accordo. Ma allora, in modalita' *aletica*, se dici,
giustamente, che per la coppia ◻◻, "nec nec", tanto vale scrivere
"nec", perche' per la coppia "pos nec" non si puo' dire altrettanto?
Ti ho appena mostrato che in ontologia (che è una modalità aletica)
*si può* dire altrettanto.
Post by Loris Dalla Rosa
Perche' per qualche
motivo non possono essere equivalenti.
Però allora devi dirmeli questi motivi.
E' quello che sto chiedendo, visto che io non ne trovo.
Perfetto. Se nemmeno tu trovi motivi per *non* dire che "pos nec" sia
equivalente a "nec", diciamolo.
Io *non* vedo motivi per dire che "pos nec=nec" *non* sia equivalente a
"nec nec=nec".
A dire il vero, perche' l'ho gia' detto, in "pos nec" non si assuma che
"pos" e' il possibile del necessario, con la conseguenza che qualsiasi
sistema che applichi coerentemente questo postulato e' un sistema
deterministico.
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
1) nec -> pos è un assioma abbastanza basilare, usato in quasi tutti
i sistemi modali
2) pos -> nec non esiste in nessun sistema modale, perché
sostanzialmente, se accoppiato alla 1, vuol dire *rinunciare* del
tutto alla logica modale e ridursi a quella binaria.
Perfettamente d'accordo. Infatti e' per questo che non trovo
giustificazione in questa riduzione: pos nec = nec, mentre ne trovo in
questa: nec nec=nec
Ma infatti la riduzione pos nec -> nec *non è* giustificata affatto da
pos -> nec. D'altra parte, se lo fosse, non sarebbe un assioma, ma un
teorema.
In quanto assioma, non è derivabile da nessun altro assioma. La sua
"giustificazione" e quella di eliminare le modalità di secondo livello
in tutti i contesti in cui queste modalità sono inutili. E' una sorta di
rasoio di Occam.
Beh, se taglia tutto cio' che e' possibile che non sia non vado certo da
Occam a tagliarmi i capelli, quelo mi rapa a zero!:-)
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
3) pos nec -> nec vuol dire rinunciare alla logica modale di livelli
superiori, e ridursi a quella di primo livello.
Ma io vorrei sapere semplicemente se pos -> nec
o la conversa pos <- nec.
pos -> nec è il cosiddetto assioma D, vale in molti sistemi logici.
La conversa pos <- nec [corretto: nec <- pos] non vale praticamente mai perché se anche questa
(insieme alla diretta) valesse si avrebbe pos = nec, riducendosi ad una
logica classica. La quale è applicabile in molti contesti, ma a quel
punto è inutile usare le formalizzazioni della logica modale.
Analogamente, possiamo dire che nec -> pos nec è abbastanza ovvia.
Certo, e' il famoso "ab esse ad posse valet consequentia", pos -> nec,
cui e' superfluo il secondo nec, perche' sarebbe nec -> (nec -> pos).
Il problema e' la conversa nec <- pos, in cui non vale la conseguenza
ne' con nec <- (nec -> pos) ne' con nec <- (nec <- pos), a meno che nec
non sia il necessario del possibile, per cui sarebbe valida e avtemmo la
doppia implcazione nec <-> pos. Cosa che va benissimo per un sistema
assolutamente deterministico.
Post by posi
Se a
questa aggiungiamo la conversa pos nec -> nec, ci si riduce ad una
modalità di primo livello. Di nuovo: in alcuni contesti può andare bene,
in altri no.
Il problema e' sempre li'. Se si assume il postulato 5:
pos nec -> nec P,
e' ancora valida la definizione A di possibile, come cio' che non e'
necessario che non sia, col suo sub-contrario cio' che non e' necessario
che sia? Un tale postulato, cioe', quali ripercussioni semantiche
avrebbe sul concetto di contingente?
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
posi
2024-02-12 23:53:48 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Perfetto. Se nemmeno tu trovi motivi per *non* dire che "pos nec" sia
equivalente a "nec", diciamolo.
Io *non* vedo motivi per dire che "pos nec=nec" *non* sia equivalente a
"nec nec=nec".
Mi sembra un po contorta come giustificazione: non vedi i motivi per
dire una certa cosa, però la dici.
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
3) pos nec -> nec vuol dire rinunciare alla logica modale di livelli
superiori, e ridursi a quella di primo livello.
Ma io vorrei sapere semplicemente se pos -> nec
o la conversa pos <- nec.
pos -> nec è il cosiddetto assioma D, vale in molti sistemi logici.
La conversa pos <- nec [corretto: nec <- pos] non vale praticamente
mai perché se anche questa (insieme alla diretta) valesse si avrebbe
pos = nec, riducendosi ad una logica classica. La quale è applicabile
in molti contesti, ma a quel punto è inutile usare le formalizzazioni
della logica modale.
Analogamente, possiamo dire che nec -> pos nec è abbastanza ovvia.
Certo, e' il famoso "ab esse ad posse valet consequentia",
Sì, è esattamente quello: p -> ◊p

dove p è una formula *qualsiasi*, quindi come caso in cui p = ◻a, si
avrà ◻a -> ◊◻a
Post by Loris Dalla Rosa
Il problema e' la conversa nec <- pos, in cui non vale la conseguenza
ne' con nec <- (nec -> pos) ne' con nec <- (nec <- pos), a meno che nec
non sia il necessario del possibile, per cui sarebbe valida e avtemmo la
doppia implcazione nec <-> pos. Cosa che va benissimo per un sistema
assolutamente deterministico.
Esatto.
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Se a questa aggiungiamo la conversa pos nec -> nec, ci si riduce ad
una modalità di primo livello. Di nuovo: in alcuni contesti può andare
bene, in altri no.
pos nec -> nec P,
e' ancora valida la definizione A di possibile, come cio' che non e'
necessario che non sia, col suo sub-contrario cio' che non e' necessario
che sia? Un tale postulato, cioe', quali ripercussioni semantiche
avrebbe sul concetto di contingente?
Certo che rimane valida: le definizioni vengono scritte all'inizio della
trattazione e non si toccano fino alla fine.

Ovvio però che l'introduzione di un assioma piuttosto che un altro può
avere ripercussione sulle interpretazioni semantiche adottabili.

Per esempio, un ipotetico assioma ◊p -> ◻p farebbe scomparire il
contingente e stroncherebbe il non determinismo.

Tuttavia ◊◻p -> ◻p è tutt'altro assioma. Un conto è dire che una certa
cosa è "possibile", altra cosa è dire che "è possibile che sia
necessaria". L'assioma 5 semplicemente fa scomparire il contingente di
secondo livello: non puoi dire "è contingente che sia necessario".
Loris Dalla Rosa
2024-02-14 10:02:53 UTC
Permalink
[...]
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
pos nec -> nec P,
e' ancora valida la definizione A di possibile, come cio' che non e'
necessario che non sia, col suo sub-contrario cio' che non e'
necessario che sia? Un tale postulato, cioe', quali ripercussioni
semantiche avrebbe sul concetto di contingente?
Certo che rimane valida: le definizioni vengono scritte all'inizio della
trattazione e non si toccano fino alla fine.
Ovvio però che l'introduzione di un assioma piuttosto che un altro può
avere ripercussione sulle interpretazioni semantiche adottabili.
Per esempio, un ipotetico assioma ◊p -> ◻p farebbe scomparire il
contingente e stroncherebbe il non determinismo.
Tuttavia ◊◻p -> ◻p è tutt'altro assioma. Un conto è dire che una certa
cosa è "possibile", altra cosa è dire che "è possibile che sia
necessaria". L'assioma 5 semplicemente fa scomparire il contingente di
secondo livello: non puoi dire "è contingente che sia necessario".
Bene posi, specificando (per le considerazioni che seguiranno) che
quella formula del postulato 5 non fa al caso nostro se torniamo alla
questione dei futuribili dalla quale siamo partiti (piuttosto quella che
fa per noi e' ◊◻p -> ◻◊p), invece di invischiarci in una discussione
sulla teoria generale dei mondi possibili, che secondo me presenta
notevoli difficolta' per il principio di identita' e degli
indiscernibili, potremmo limitarci a considerare la questione, piu'
realisticamente, nella prospettiva di una logica temporale. Per
impostarla dovremmo immaginare 2 mondi come se fossero due istantanee
del mondo reale: il mondo di oggi, M1, e il modo di domani, M2. Dando
per scontato che il requisito di reciproca accessibilita' e' la medesima
logica, tuttavia si presentano elementi di asimmetricita', specifici
della temporalita'. M1 e' il mondo reale, del necessario in quanto
reale, e che vede M2 come il mondo del possibile, M2 vede M1 come il
mondo del passato. Questa impostazione gia' comporta notevoli problemi
sia logici che generalmente filosofici. Se vogliamo parlarne,
continuando questo 3D, oppure aprendone un altro (con somma gioia di
Gianni Giannini:-))...
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
posi
2024-02-14 20:33:03 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Bene posi, specificando (per le considerazioni che seguiranno) che
quella formula del postulato 5 non fa al caso nostro se torniamo alla
questione dei futuribili dalla quale siamo partiti (piuttosto quella che
fa per noi e' ◊◻p -> ◻◊p)
Direi proprio di no. Non so dove tu abbia pescato questa implicazione,
ma nel caso nostro (questione dei futuribili trattata con approccio
indeterministico) l'espressione ◊◻p equivale a dire che p è un evento
presente o passato, perché un evento futuro *non* può, oggi, essere
necessario.

L'espressione ◻◊p invece è vera se p è un evento futuro (cosa che
tuttavia è esclusa dalla ◊◻p) *oppure* se ora sta effettivamente piovendo.


In pratica dire "◊◻p -> ◻◊p" è un modo estremamente contorto per dire piove.


, invece di invischiarci in una discussione
Post by Loris Dalla Rosa
sulla teoria generale dei mondi possibili, che secondo me presenta
notevoli difficolta' per il principio di identita' e degli
indiscernibili, potremmo limitarci a considerare la questione, piu'
realisticamente, nella prospettiva di una logica temporale. Per
impostarla dovremmo immaginare 2 mondi come se fossero due istantanee
del mondo reale: il mondo di oggi, M1, e il modo di domani, M2. Dando
per scontato che il requisito di reciproca accessibilita' e' la medesima
logica, tuttavia si presentano elementi di asimmetricita', specifici
della temporalita'. M1 e' il mondo reale, del necessario in quanto
reale, e che vede M2 come il mondo del possibile, M2 vede M1 come il
mondo del passato. Questa impostazione gia' comporta notevoli problemi
sia logici che generalmente filosofici. Se vogliamo parlarne,
continuando questo 3D, oppure aprendone un altro (con somma gioia di
Gianni Giannini:-))...
Possiamo dire che l'espressione ◊p∧◊-p è vera in M2 e falsa in M1, dove
di conseguenza è vera ◻p ∨ ◻-p, e questo ci permette di discernere i due
mondi.
Loris Dalla Rosa
2024-02-14 21:37:05 UTC
Permalink
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Bene posi, specificando (per le considerazioni che seguiranno) che
quella formula del postulato 5 non fa al caso nostro se torniamo alla
questione dei futuribili dalla quale siamo partiti (piuttosto quella
che fa per noi e' ◊◻p -> ◻◊p)
Direi proprio di no. Non so dove tu abbia pescato questa implicazione,
ma nel caso nostro (questione dei futuribili trattata con approccio
indeterministico) l'espressione ◊◻p equivale a dire che p è un evento
presente o passato, perché un evento futuro *non* può, oggi, essere
necessario.
L'espressione ◻◊p invece è vera se p è un evento futuro (cosa che
tuttavia è esclusa dalla ◊◻p) *oppure* se ora sta effettivamente piovendo.
In pratica dire "◊◻p -> ◻◊p" è un modo estremamente contorto per dire piove.
Dice che se e' possibile che domani necessariamente piova implica che
oggi e' necessario che sia possibile che domani piova.
Vedrai che verra' buona.
Post by posi
, invece di invischiarci in una discussione
Post by Loris Dalla Rosa
sulla teoria generale dei mondi possibili, che secondo me presenta
notevoli difficolta' per il principio di identita' e degli
indiscernibili, potremmo limitarci a considerare la questione, piu'
realisticamente, nella prospettiva di una logica temporale. Per
impostarla dovremmo immaginare 2 mondi come se fossero due istantanee
del mondo reale: il mondo di oggi, M1, e il modo di domani, M2. Dando
per scontato che il requisito di reciproca accessibilita' e' la
medesima logica, tuttavia si presentano elementi di asimmetricita',
specifici della temporalita'. M1 e' il mondo reale, del necessario in
quanto reale, e che vede M2 come il mondo del possibile, M2 vede M1
come il mondo del passato. Questa impostazione gia' comporta notevoli
problemi sia logici che generalmente filosofici. Se vogliamo parlarne,
continuando questo 3D, oppure aprendone un altro (con somma gioia di
Gianni Giannini:-))...
Possiamo dire che l'espressione ◊p∧◊-p è vera in M2 e falsa in M1, dove
di conseguenza è vera ◻p ∨ ◻-p, e questo ci permette di discernere i due
mondi.
Vorrai dire che e' vera in M1(oggi), essendo sempre vera, una verita'
logica. Ma quello che ti chiedo e' come e' "vista" la stessa
proposizione in M2 non *da* M1, ma *da* M2 in M1 che per M2 e' il
passato. Se e' piu' chiaro e intuitivo, possiamo immaginare un mondo M0:
di M1 M0 e' il passato e M2 il futuro. Per M2 e' comunque falsa, essendo
una verita' di fatto, che esclude una delle due alternative espresse
nella congiunzione.
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
Loris Dalla Rosa
2024-02-15 10:55:46 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Bene posi, specificando (per le considerazioni che seguiranno) che
quella formula del postulato 5 non fa al caso nostro se torniamo alla
questione dei futuribili dalla quale siamo partiti (piuttosto quella
che fa per noi e' ◊◻p -> ◻◊p)
Direi proprio di no. Non so dove tu abbia pescato questa implicazione,
ma nel caso nostro (questione dei futuribili trattata con approccio
indeterministico) l'espressione ◊◻p equivale a dire che p è un evento
presente o passato, perché un evento futuro *non* può, oggi, essere
necessario.
L'espressione ◻◊p invece è vera se p è un evento futuro (cosa che
tuttavia è esclusa dalla ◊◻p) *oppure* se ora sta effettivamente piovendo.
In pratica dire "◊◻p -> ◻◊p" è un modo estremamente contorto per dire piove.
Dice che se e' possibile che domani necessariamente piova implica che
oggi e' necessario che sia possibile che domani piova.
Vedrai che verra' buona.
Voglio dire, per non sembrare criptico, che se vogliamo che la logica
non sia un puro gioco di simboli con regole aritrariamente stabilite, ma
piu' concretamente aderente alla realta'(*), e' necessaria
un'*interpretazione* di simboli e di concetti che corrisponda a tale
intento. A cominciare dal senso di quel segno di implicazione, che per
una logica temporale puo' intendersi p.e. come "presuppone" (in senso
temporale) o "comporta che prima...". Necessita dell'interpretazione di
concetti come "necessario" e possibile", di "verita'" di una
proposizione rispetto al tempo in cui e' pronunciata... un bel po' di
concetti filosoficamente "pesanti", impegnativi.

(*)Dovremmo per questo distinguere quello che e' un gioco puramente
logico, come gli scacchi per esempio, da un gioco che e' simulazione di
una realta'. Il gioco degli scacchi e' un gioco di simulazione? Le
figure dei pezzi possono suggerirlo, ma molto alla lontana, alla sua
origine; le torri nella reata' non si muovono, e i cavalli non saltano
due metri in avanti e uno di lato. Queste invece sono simulazioni:
https://www.wired.it/article/wargames-videogiochi-guerra/
sono pur sempre giochi (bruttissimi giochi), ma le cui regole si
riferiscono alla realta'.
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
posi
2024-02-15 20:42:23 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
In pratica dire "◊◻p -> ◻◊p" è un modo estremamente contorto per dire piove.
Dice che se e' possibile che domani necessariamente piova implica che
oggi e' necessario che sia possibile che domani piova.
Vedrai che verra' buona.
◊◻p significa che *oggi* è possibile che *oggi* è necessario che domani
piova. E' molto diverso da "è possibile che domani necessariamente
piova". Se spostiamo le parole, cambia tutto.
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
, invece di invischiarci in una discussione
Post by Loris Dalla Rosa
sulla teoria generale dei mondi possibili, che secondo me presenta
notevoli difficolta' per il principio di identita' e degli
indiscernibili, potremmo limitarci a considerare la questione, piu'
realisticamente, nella prospettiva di una logica temporale. Per
impostarla dovremmo immaginare 2 mondi come se fossero due istantanee
del mondo reale: il mondo di oggi, M1, e il modo di domani, M2. Dando
per scontato che il requisito di reciproca accessibilita' e' la
medesima logica, tuttavia si presentano elementi di asimmetricita',
specifici della temporalita'. M1 e' il mondo reale, del necessario in
quanto reale, e che vede M2 come il mondo del possibile, M2 vede M1
come il mondo del passato. Questa impostazione gia' comporta notevoli
problemi sia logici che generalmente filosofici. Se vogliamo
parlarne, continuando questo 3D, oppure aprendone un altro (con somma
gioia di Gianni Giannini:-))...
Possiamo dire che l'espressione ◊p∧◊-p è vera in M2 e falsa in M1,
dove di conseguenza è vera ◻p ∨ ◻-p, e questo ci permette di
discernere i due mondi.
Vorrai dire che e' vera in M1(oggi), essendo sempre vera, una verita'
logica.
Considera che ∧ è la congiunzione: ◊p∧◊-p non è altro che il
contingente, ed è vero per gli eventi futuri.

Mentre ◻p ∨ ◻-p è solo un modo più semplice per scrivere la negazione
del contingente: -◊p∧◊-p.

E' l'applicazione del principio del terzo escluso al *necessario*, e non
è una verità logica. Per lo meno, non nella logica modale.


Ma quello che ti chiedo e' come e' "vista" la stessa
Post by Loris Dalla Rosa
proposizione in M2 non *da* M1, ma *da* M2 in M1 che per M2 e' il
di M1 M0 e' il passato e M2 il futuro. Per M2 e' comunque falsa, essendo
una verita' di fatto, che esclude una delle due alternative espresse
nella congiunzione.
Sì, è chiaro: M2 vedrà se stesso come presente.
Loris Dalla Rosa
2024-02-16 13:35:16 UTC
Permalink
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
In pratica dire "◊◻p -> ◻◊p" è un modo estremamente contorto per dire piove.
Dice che se e' possibile che domani necessariamente piova implica che
oggi e' necessario che sia possibile che domani piova.
Vedrai che verra' buona.
◊◻p significa che *oggi* è possibile che *oggi* è necessario che domani
piova. E' molto diverso da "è possibile che domani necessariamente
piova". Se spostiamo le parole, cambia tutto.
Nel post che avevo fatto seguire avevo chiarito questa ambiguita', col
conferire al segno "->" l'interpretazione di "comporta che prima...",
dove il "prima" e' in senso temporale: cio' che e' scritto dopo di "->"
va inteso come condizione posta temporalmente prima. Ma si puo'
definitivamente chiarire con questo schema:
in t1 M1 -> in t2 M2
◻◊p ◊◻p

Ora sia chiaro, non e' che intendo mettere sul tavolo della discussione
tutta la logica temporale di Prior o di Kripke, ma, con approccio piu'
"continentale", cosiddetto rispetto a quello degli altrettanto
cosiddetti "analitici", limitarmi a questi due simboli e alla loro
combinazione per interpretarne il significato; perche' e' la loro
interpretazione il "pettine" a cui vengono tutti i nodi che abbiamo
discusso.
Post by posi
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
, invece di invischiarci in una discussione
Post by Loris Dalla Rosa
sulla teoria generale dei mondi possibili, che secondo me presenta
[...]
Possiamo dire che l'espressione ◊p∧◊-p è vera in M2 e falsa in M1,
dove di conseguenza è vera ◻p ∨ ◻-p, e questo ci permette di
discernere i due mondi.
Vorrai dire che e' vera in M1(oggi), essendo sempre vera, una verita'
logica.
Considera che ∧ è la congiunzione: ◊p∧◊-p non è altro che il
contingente, ed è vero per gli eventi futuri.
Mentre ◻p ∨ ◻-p è solo un modo più semplice per scrivere la negazione
del contingente: -◊p∧◊-p.
E' l'applicazione del principio del terzo escluso al *necessario*, e non
è una verità logica. Per lo meno, non nella logica modale.
Cosi' pero' non si capisce il ragionamento di Cacciari, che a modo suo
finisce per approda a una concezione parmenidea del necessrio. Ho fatto
l'esempio delle due istantanee, che mi sembra intuitivamente efficace.
Nell'istantanea di M1, che vede M2, le formule che hai detto vanno
benissimo, ma in M2 quelle stesse formule sono vere? Mettiamo sempre che
P stia per "piove"; in M2 piove, verita' di fatto: ◊p∧◊-p e' falsa,
nell'istantanea appare solo che piove, il contingente che e' e di cui
non appare la possibilita' di non apparire, ne' appare il possibile,
inteso come cio' che non e' e potrebbe essere: il possibile e'
l'impossibilita' di apparire come reale, e il contingente, che e' tutto
cio' che appare, e' con cio' il necessario. Penso che con la metafora
dell'istantanea si capisca in modo semplice, senza possibili oscurita'
cacciariane. In M2 non esiste il possibile, come non esiste in qualsiasi
stadio evolutivo del mondo ad esso antecedente, perche' questo e' il
necessario del passato. Il possibile esiste solo come visione del futuro
espressa da quella formula ◊p∧◊-p, che e' una verita', ma una verita' di
ragione, una necessita' logica, sempre vera, ma che sara' sempre falsa
per la verita' di fatto. A questo punto il discorso finirebbe qui, M1 e
M2 sarebbero inaccessibili l'uno all'altro, essendo l'uno il mondo del
possibile che non si realizzera' mai, e l'altro il mondo necessario che
non sara' mai possibile che *non* sia. Ma non e' cosi', perche' la
logica di M1 che parla di M2 e' *la stessa* di M2 relazionato con un M3,
e la logica di M2 e' la stessa di M1 relazionato con un M0. Dovrebbe
essere chiaro allora che nelle due formule, M1:◻◊p e M2:◊◻p, ne' il
simbolo "◻", "nec", ne' il simbolo "◊", "pos", hanno lo stesso
significato: in M1 nec dice la necessita' *logica* che in M2 piova o non
piova, mentre in M2 dice la necessita' *di fatto* che piove; e il
simbolo pos in M1 dice la possibilita' *logica* di essere o di non
essere del fatto contingente in M2, mentre in M2 dice la mera
possibilita' del *necessario* che piove. Mi fermo qui sia per la
lunghezza del post, sia per sapere sei sei d'accordo su questo approccio
"concreto" alla questione (e anche un po' infastidito, a ogni
collegamento a usenet, dalla cagnara inscenata da "Gianni" sul 22 febbraio)
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
posi
2024-02-19 23:51:14 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Nel post che avevo fatto seguire avevo chiarito questa ambiguita', col
conferire al segno "->" l'interpretazione di "comporta che prima...",
dove il "prima" e' in senso temporale: cio' che e' scritto dopo di "->"
va inteso come condizione posta temporalmente prima. Ma si puo'
in t1 M1 -> in t2 M2
     ◻◊p        ◊◻p
A prescindere dal significato che vuoi attribuire a "->", il problema è
nella stessa formula ◻◊p, che *comunque* va interpretata in base alla
def. A, quindi significa "è necessario che p sia possibile", cioè "è
necessario che p sia contingente o necessario". Se siamo in M1 e quindi
il contingente non esiste, la formula collassa in ◻p e quindi in p.

Mentre ◊◻p significa "è possibile (cioè è necessario o contingente) che
p sia necessario, ed è chiaramente falso.
Post by Loris Dalla Rosa
Post by posi
E' l'applicazione del principio del terzo escluso al *necessario*, e
non è una verità logica. Per lo meno, non nella logica modale.
Cosi' pero' non si capisce il ragionamento di Cacciari, che a modo suo
finisce per approda a una concezione parmenidea del necessrio.
Pretendere di capire Cacciari attraverso la semantica di Kripke mi
sembra un po' eccessivo.

Ho fatto
Post by Loris Dalla Rosa
l'esempio delle due istantanee, che mi sembra intuitivamente efficace.
Nell'istantanea di M1, che vede M2, le formule che hai detto vanno
benissimo, ma in M2 quelle stesse formule sono vere? Mettiamo sempre che
P stia per "piove"; in M2 piove, verita' di fatto: ◊p∧◊-p e' falsa,
nell'istantanea appare solo che piove, il contingente che e' e di cui
non appare la possibilita' di non apparire, ne' appare il possibile,
Questa è ancora un'altra definizione di "possibile", come due non
fossero già fin troppe.

Il possibile nel senso della def. A appare in quanto ingloba in sé il
necessario.

il possibile e'
Post by Loris Dalla Rosa
l'impossibilita' di apparire come reale, e il contingente, che e' tutto
cio' che appare, e' con cio' il necessario. Penso che con la metafora
dell'istantanea si capisca in modo semplice, senza possibili oscurita'
cacciariane. In M2 non esiste il possibile,
In M2 non esiste il "◊p∧◊-p", cioè quello che avevamo concordemente
deciso di chiamare "contingente".

come non esiste in qualsiasi
Post by Loris Dalla Rosa
stadio evolutivo del mondo ad esso antecedente, perche' questo e' il
necessario del passato. Il possibile esiste solo come visione del futuro
espressa da quella formula ◊p∧◊-p, che e' una verita', ma una verita' di
ragione, una necessita' logica, sempre vera, ma che sara' sempre falsa
per la verita' di fatto. A questo punto il discorso finirebbe qui, M1 e
M2 sarebbero inaccessibili l'uno all'altro, essendo l'uno il mondo del
possibile che non si realizzera' mai, e l'altro il mondo necessario che
non sara' mai possibile che *non* sia. Ma non e' cosi', perche' la
logica di M1 che parla di M2 e' *la stessa* di M2 relazionato con un M3,
e la logica di M2 e' la stessa di M1 relazionato con un M0. Dovrebbe
essere chiaro allora che nelle due formule, M1:◻◊p e M2:◊◻p, ne' il
simbolo "◻", "nec", ne' il simbolo "◊", "pos", hanno lo stesso
significato: in M1 nec dice la necessita' *logica* che in M2 piova o non
piova, mentre in M2 dice la necessita' *di fatto* che piove; e il
simbolo pos in M1 dice la possibilita' *logica* di essere o di non
essere del fatto contingente in M2, mentre in M2 dice la mera
possibilita' del *necessario* che piove. Mi fermo qui sia per la
lunghezza del post, sia per sapere sei sei d'accordo su questo approccio
"concreto" alla questione (e anche un po' infastidito, a ogni
collegamento a usenet, dalla cagnara inscenata da "Gianni" sul 22 febbraio)
Nessun problema nell'approccio concreto in sé, ma non sono d'accordo sul
significato che attribuisci a ◊, che si discosta enormemente dalla
definizione.
Massimo 456b
2024-02-11 20:02:22 UTC
Permalink
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e apparentemente (non solo per me) paradossale:??P = ?P
Se vuoi capire perche' non e' paradossale e' tutto nell'uso
dell'uguale.
Se avesse scritto -> allora sarebbe paradossale.
Qui invece dice che:
dire che e' possibile che sia necessario che al giorno segua la
notte e' inutile (uguale) perche' basta dire che e' necessario.
E' la stessa cosa.
Non e' una implicazione ma la conseguenza del fatto che ogni
necessita' non e' impossibile.
Forse la traduci in senso teologico? dire che l'esistenza di Dio
coincide con la possibilita' della sua esistenza?
Non credo che abbia significato.
--
----Android NewsGroup Reader----
https://piaohong.s3-us-west-2.amazonaws.com/usenet/index.html
Loris Dalla Rosa
2024-02-12 10:59:37 UTC
Permalink
Post by Massimo 456b
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e apparentemente (non solo per me) paradossale:??P = ?P
Se vuoi capire perche' non e' paradossale e' tutto nell'uso
dell'uguale.
Se avesse scritto -> allora sarebbe paradossale.
dire che e' possibile che sia necessario che al giorno segua la
notte e' inutile (uguale) perche' basta dire che e' necessario.
E' la stessa cosa.
Perfetto. Allora e' superfluo scrivere "pos nec", basta "nec" (*)
Post by Massimo 456b
Non e' una implicazione ma la conseguenza del fatto che ogni
necessita' non e' impossibile.
Forse la traduci in senso teologico? dire che l'esistenza di Dio
coincide con la possibilita' della sua esistenza?
Non credo che abbia significato.
Nel senso della prova modale dell'esistenza di Dio (Leibniz, ma anche
Anselmo, Goedel), se pos nec equivale a nec, ci sarebbe una petizione di
principio, e invece di dire che se Dio e' possibile allora e' necessario
che esista, basterebbe dire che e' necessario che Dio esista quindi esiste.

Ciao,
Loris

(*) Nota tecnica. Dai punti di domanda nel tuo quotato sembra che tu non
veda i simboli logici. Problema che risale al tempo in cui per non avere
problemi era meglio scrivere in testo puro, caratteri ASCII. Per questo
mi sono abituato a scrivere anche qui in testo puro, per cui quando
scrivo "nec" si intende naturalmente "necessario" e con "pos" "possibile".
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
Massimo 456b
2024-02-12 12:00:40 UTC
Permalink
li vedo ma non ritornano nel quotato.
Ma io preferisco il linguaggio naturale.
Decostruendo la logica tutta la logica rientra nel buon senso del
linguaggio filosofico.
Le sequenze di simboli dei teoremi secondo me sono propri solo del
linguaggio matematico.
Il linguaggio filosofico non puo' allontanarsi da quello del
pensiero che non e' formale e tantomeno astratto.
In fondo anche una tavola delle verita' modali e' una astrazione
che va bene per una macchina.
--
----Android NewsGroup Reader----
https://piaohong.s3-us-west-2.amazonaws.com/usenet/index.html
Loris Dalla Rosa
2024-02-12 12:50:33 UTC
Permalink
Post by Massimo 456b
li vedo ma non ritornano nel quotato.
Ma io preferisco il linguaggio naturale.
Decostruendo la logica tutta la logica rientra nel buon senso del
linguaggio filosofico.
Le sequenze di simboli dei teoremi secondo me sono propri solo del
linguaggio matematico.
Il linguaggio filosofico non puo' allontanarsi da quello del
pensiero che non e' formale e tantomeno astratto.
In fondo anche una tavola delle verita' modali e' una astrazione
che va bene per una macchina.
Con me sfondi una porta aperta. Soprattutto sull'ultima frase. Le
modalita' del primo ordine, le basilari, con un'opportuna
interpretazione delle 16 tavole di verita' e con l'aggiunta di un
principio di esistenza, possono essere trattate alla maniera della
teoria sillogistica.





--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avas
Prima Idea
2024-02-13 08:20:15 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Massimo 456b
li vedo ma non ritornano nel quotato.
Ma io preferisco il linguaggio naturale.
Decostruendo la logica tutta la logica rientra nel buon senso del
linguaggio filosofico.
Le sequenze di simboli dei teoremi secondo me sono propri solo del
linguaggio matematico.
Il linguaggio filosofico non puo' allontanarsi da quello del
pensiero che non e' formale e tantomeno astratto.
In fondo anche una tavola delle verita' modali e' una astrazione
che va bene per una macchina.
Con me sfondi una porta aperta. Soprattutto sull'ultima frase. Le
modalita' del primo ordine, le basilari, con un'opportuna
interpretazione delle 16 tavole di verita' e con l'aggiunta di un
principio di esistenza, possono essere trattate alla maniera della
teoria sillogistica.
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
ideaprima

e allora parla come ti insegno' tua madre.
Ma io ritengo, e a buonissima ragione, che qui qualcuno accondiscenda a direttive
che vorrebbero trasmutare il linguaggio umano in linguaggio per la robotica.... compreso
quindi pure quello filosofico. Tu no?... la tua ostinazione su questa strada lo farebbe supporre.
Ho pure letto da qualche parte che si vuole proprio tendere a questo.
Sintetizzando:
transumanesimo!
.transumanesimo ..... mirato a inglobarsi pur anche la filosofia... zitto zitto quatto quatto.
Per cui cio' che conta non e' per te/voi dire cose attinenti al pensiero filosofico
o mantenere vivo un bisogno di approfondimento reale nell-uomo, ma abituare
ad un linguaggio mentale (e parlato) robotizzato ... disanimato.
E da questo alla disumanizzazione pure del sentire e relativo accantonamento
della coscienza dell' essere il passo e' brevissimo.
Ritengo che in rete vi sia gente appositamente incaricata di far questo.
Altrimenti non si spiegherebbe tanta incaponita insipienza.

------------------
Loris Dalla Rosa
2024-02-13 10:14:06 UTC
Permalink
Post by Prima Idea
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Massimo 456b
li vedo ma non ritornano nel quotato.
Ma io preferisco il linguaggio naturale.
Decostruendo la logica tutta la logica rientra nel buon senso del
linguaggio filosofico.
Le sequenze di simboli dei teoremi secondo me sono propri solo del
linguaggio matematico.
Il linguaggio filosofico non puo' allontanarsi da quello del
pensiero che non e' formale e tantomeno astratto.
In fondo anche una tavola delle verita' modali e' una astrazione
che va bene per una macchina.
Con me sfondi una porta aperta. Soprattutto sull'ultima frase. Le
modalita' del primo ordine, le basilari, con un'opportuna
interpretazione delle 16 tavole di verita' e con l'aggiunta di un
principio di esistenza, possono essere trattate alla maniera della
teoria sillogistica.
--
ideaprima
e allora parla come ti insegno' tua madre.
Ma io ritengo, e a buonissima ragione, che qui qualcuno accondiscenda a direttive
che vorrebbero trasmutare il linguaggio umano in linguaggio per la robotica.... compreso
quindi pure quello filosofico. Tu no?... la tua ostinazione su questa strada lo farebbe supporre.
Ho pure letto da qualche parte che si vuole proprio tendere a questo.
transumanesimo!
Ma come sei esagerata ideaprima! Transumanesimo! Sarebbe come se io
adesso ti accusassi di essere al servizio di qualche losco agente di
tale progetto transumanista, perche' usi una calcolatrice elettronica, o
lo stesso computer che stai usando adesso. Stiamo parlando di logica e
l'ideale di un calcolo logico, addirittura universale, sai a chi risale?
Al buon Leibniz. Sara' stato lui l'agente ante litteram del diabolico
piano transumanista? Leggi la breve recensione che segue a questo libro
(cosi' mi accuserai anche di pubblicita' patente):
https://www.adelphi.it/libro/9788845927416
Poche cose ma dette bene.
Post by Prima Idea
.transumanesimo ..... mirato a inglobarsi pur anche la filosofia... zitto zitto quatto quatto.
!:-). Quello del transumanismo e' un discorso serio, filosofico; ma oggi
e' l'ultimo giorno di Carnevale e ogni barzelletta e' lecita.






--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus d
Loris Dalla Rosa
2024-02-13 10:35:07 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Prima Idea
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Massimo 456b
Massimo 456b ha scritto:> Loris Dalla Rosa
"Dialogo con il formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
apparentemente (non solo per me) paradossale:??P = ?P>> Se vuoi
capire perche' non e' paradossale e' tutto nell'uso> dell'uguale.>
Se avesse scritto -> allora sarebbe paradossale.> Qui invece dice
che:> dire che e' possibile che sia necessario che al giorno segua
la> notte e' inutile (uguale) perche' basta dire che e'
necessario.> E' la stessa cosa.Perfetto. Allora e' superfluo
scrivere "pos nec", basta "nec" (*)> Non e' una implicazione ma la
conseguenza del fatto che ogni> necessita' non e' impossibile.>
Forse la traduci in senso teologico? dire che l'esistenza di Dio>
coincide con la possibilita' della sua esistenza?> Non credo che
abbia significato.>Nel senso della prova modale dell'esistenza di
Dio (Leibniz, ma ancheAnselmo, Goedel), se pos nec equivale a nec,
ci sarebbe una petizione diprincipio, e invece di dire che se Dio
e' possibile allora e' necessarioche esista, basterebbe dire che e'
necessario che Dio esista quindi esiste.Ciao,Loris(*) Nota tecnica.
Dai punti di domanda nel tuo quotato sembra che tu nonveda i
simboli logici. Problema che risale al tempo in cui per non
avereproblemi era meglio scrivere in testo puro, caratteri ASCII.
Per questomi sono abituato a scrivere anche qui in testo puro, per
cui quandoscrivo "nec" si intende naturalmente "necessario" e con
"pos" "possibile".
li vedo ma non ritornano nel quotato.
Ma io preferisco il linguaggio naturale.
Decostruendo la logica tutta la logica rientra nel buon senso del
linguaggio filosofico.
Le sequenze di simboli dei teoremi secondo me sono propri solo del
linguaggio matematico.
Il linguaggio filosofico non puo' allontanarsi da quello del
pensiero che non e' formale e tantomeno astratto.
In fondo anche una tavola delle verita' modali e' una astrazione
che va bene per una macchina.
Con me sfondi una porta aperta. Soprattutto sull'ultima frase. Le
modalita' del primo ordine, le basilari, con un'opportuna
interpretazione delle 16 tavole di verita' e con l'aggiunta di un
principio di esistenza, possono essere trattate alla maniera della
teoria sillogistica.
--
ideaprima
.transumanesimo ..... mirato a inglobarsi pur anche la filosofia...
zitto zitto quatto quatto.
!:-). Quello del transumanismo e' un discorso serio, filosofico; ma oggi
e' l'ultimo giorno di Carnevale e ogni barzelletta e' lecita.
E vuoi che apra un altro 3D sul transumanismo? Probabilmente lo faro', o
lo fara' qualcun altro, filosofico, cioe' umano. Ma ti assicuro che
andra' ben oltre il 22 febbraio e tu non potrai seguirlo, restando
certamente umana, perche' anche l'analfabetismo, informatico o meno, e'
una proprieta' che appartiene solo agli umani.
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
Prima Idea
2024-02-13 23:24:19 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Prima Idea
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Massimo 456b
li vedo ma non ritornano nel quotato.
Ma io preferisco il linguaggio naturale.
Decostruendo la logica tutta la logica rientra nel buon senso del
linguaggio filosofico.
Le sequenze di simboli dei teoremi secondo me sono propri solo del
linguaggio matematico.
Il linguaggio filosofico non puo' allontanarsi da quello del
pensiero che non e' formale e tantomeno astratto.
In fondo anche una tavola delle verita' modali e' una astrazione
che va bene per una macchina.
Con me sfondi una porta aperta. Soprattutto sull'ultima frase. Le
modalita' del primo ordine, le basilari, con un'opportuna
interpretazione delle 16 tavole di verita' e con l'aggiunta di un
principio di esistenza, possono essere trattate alla maniera della
teoria sillogistica.
--
ideaprima
e allora parla come ti insegno' tua madre.
Ma io ritengo, e a buonissima ragione, che qui qualcuno accondiscenda a direttive
che vorrebbero trasmutare il linguaggio umano in linguaggio per la robotica.... compreso
quindi pure quello filosofico. Tu no?... la tua ostinazione su questa strada lo farebbe supporre.
Ho pure letto da qualche parte che si vuole proprio tendere a questo.
transumanesimo!
Loris Dalla Rosa
Post by Loris Dalla Rosa
Ma come sei esagerata ideaprima! Transumanesimo! Sarebbe come se io
adesso ti accusassi di essere al servizio di qualche losco agente di
tale progetto transumanista, perche' usi una calcolatrice elettronica, o
lo stesso computer che stai usando adesso. Stiamo parlando di logica e
l'ideale di un calcolo logico, addirittura universale, sai a chi risale?
Al buon Leibniz. Sara' stato lui l'agente ante litteram del diabolico
piano transumanista? Leggi la breve recensione che segue a questo libro
https://www.adelphi.it/libro/9788845927416
Poche cose ma dette bene.
Post by Prima Idea
.transumanesimo ..... mirato a inglobarsi pur anche la filosofia... zitto zitto quatto quatto.
!:-). Quello del transumanismo e' un discorso serio, filosofico; ma oggi
e' l'ultimo giorno di Carnevale e ogni barzelletta e' lecita.
--
ideaprima

sei intenzionalmente partito per la tangente..... ma serve proprio a niente, poiche'' di questo
progetto messo in atto allo scopo di cui ho detto ne ho letto proprio recentemente... e chissa'
come mai mi sei venuto in mente tu.... voi?!
be'... tu innanzitutto, poiche' spari normalmente un sacco di cazzate in lingua umana comune
parlando di tutto e di piu' come al bar del quartiere per poi dare i numeri con gli alfanumeri quando
si tratta di entrare invece in campi che vorrebbero essere fillosofici... accantonando intenzionalmente
la lingua di mamma tua e degli ancora comuni mortali per partire in quarta a dare gli alfanumeri filosofici
da delirio.
E che eri e sei intenzionatissimo a mantenere linguaggi alfanumerici "ragionando" di filosofia.
Ragionando, nel tuo caso, si fa per dire..... ma chissenefrega?.... mandare a puttane la filosofia e la capacita'
umana di pensare e ragionare e intuire di moto proprio unendo l'umano sentire all'intelletto e ad intuizioni
proprie e NON ad un cerebro meramente meccanico e programmabile da ALTRI e' proprio cio' che "si" vorrebbe
ottenere... fa parte del progetto di chi vorrebbe sostituire il mentale umano (e l'animico individuale e lo spirituale)
con la robotica programmata da chi lavora per il transumanesimo... ti piaccia o meno il termine.... ma proprio di
questo si tratta... trasmutare l'essere umano in essere disanimato e spersonalizzato, da asservire e null'altro.
E hai la faccia tosta di venire aa dirlo a me, che quell del transumanesimo e'un discorso serio?..... che quarda caso
ti sei sempre ben guardato dal toccare... ovviamente.
Ridi, ridi, pagliaccio, che siamo a carnevale (e io manco lo sapevo... e di ridere non me la sento proprio... ma tu
ovviamente si'. Proponi tante belle risate alfanumeriche.... cosi' sghignazarerai alla grande e avrai gran seguito.
Non intendo aprire il link di quel libro..... e questo e' quanto.
Loris Dalla Rosa
2024-02-13 23:44:52 UTC
Permalink
Post by Prima Idea
ideaprima
sei intenzionalmente partito per la tangente..... ma serve proprio a niente, poiche'' di questo
progetto messo in atto allo scopo di cui ho detto ne ho letto proprio recentemente... e chissa'
come mai mi sei venuto in mente tu.... voi?!
La risposta e' semplicissima: perche' sei fuori di testa.
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
Prima Idea
2024-02-14 00:19:32 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Prima Idea
ideaprima
sei intenzionalmente partito per la tangente..... ma serve proprio a niente, poiche'' di questo
progetto messo in atto allo scopo di cui ho detto ne ho letto proprio recentemente... e chissa'
come mai mi sei venuto in mente tu.... voi?!
La risposta e' semplicissima: perche' sei fuori di testa.
--
ideaprima

ah be''. ..... se lo dici tu!
Jonas
2024-02-14 02:02:43 UTC
Permalink
... la filosofia e la capacita'
umana di pensare e ragionare e intuire di moto proprio unendo l'umano sentire all'intelletto e ad intuizioni
proprie e NON ad un cerebro meramente meccanico e programmabile da ALTRI e' proprio cio' che "si" vorrebbe
ottenere... fa parte del progetto di chi vorrebbe sostituire il mentale umano (e l'animico individuale e lo spirituale)
con la robotica programmata da chi lavora per il transumanesimo...
Ti stai riferendo a questo?
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Neuralink

Se sí, potresti aprire una discussione apposita e scriverne più
diffusamente.
--
J
Prima Idea
2024-02-14 10:58:32 UTC
Permalink
Post by Jonas
... la filosofia e la capacita'
umana di pensare e ragionare e intuire di moto proprio unendo l'umano sentire all'intelletto e ad intuizioni
proprie e NON ad un cerebro meramente meccanico e programmabile da ALTRI e' proprio cio' che "si" vorrebbe
ottenere... fa parte del progetto di chi vorrebbe sostituire il mentale umano (e l'animico individuale e lo spirituale)
con la robotica programmata da chi lavora per il transumanesimo...
Ti stai riferendo a questo?
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Neuralink
Se sí, potresti aprire una discussione apposita e scriverne più
diffusamente.
--
J
ideaprima

Elon Musk e Neuralink con quanto ho detto c' entrano niente.
Tra l-altro, Musk, per quanto bazzichi tra intelligenze artificiali parla normalissimamente
senza usare linguaggi alfanumerici.
No, non mi riferisco a quello. E non trovo il link alla pagina che avevo letto.
Non vedo perche' parlarne io e non piuttosto parlare normalmente di filosofia
tutti quanti nella nostra lingua parlata sin dalla nascita, senza dare gli alfanumeri
accantonando il parlare umano comune per sentirsi molto intelligenti facendo i tecnici
filosofici da laboratorio.... Cosa ha a che fare la filosofia con questo? ... solo a disumanizzare.
Ma cio' cui vorrebbero condurre " certuni" e' proprio questo..... svuotare l-essere umano della
sua anima pensante, senziente, raziocinante e universale, insinuando sempre piu' sottilmente e
diabolicmente che chi la usa parte per il regno inesistente della fantasia, dell'irrazionale, del
metafisico e financo del misticismo (questa proprio la dovrebbero spiegare, dato che e' assurda,
e tesa a voler far passare il sentire e la comprensione animica - e relative sue comprensioni e
dimensioni - per roba da visionari fuori di testa, incapaci di reggere un qualsiasi pensiero intelligente,
manco l'intelligenza e il sentire fosse impossibile farli coesistere..... cosa del tutto errata... ed anzi...
vero sarebbe invece proprio il contrario.
Si e' arrivati con fierezza a far poetare le intelligenze artificiali, che accostano metriche vuote di
contenuto reale, ma se io postassi una delle mie poesie pur anche sapienziali, questa verrebbe
disdegnata con la puzza al naso, e verrei assalita dal solito cretino che mi darebbe della visionaria
acefala portata al deliquio, e quindi non in grado di poter ragionare intelligentemente.
Insomma..... la cosa la si legge cosi': il sentire e' cosa sublime purche' non provenga dall''interiorita'!
.......... ovvero dalla mente senziente, che ha nome anima. Ma tu guarda! ossia quel quid/anima che
spazia in ogni dove, dal macro al micro e dal micro al macro dei cosmi e dei microcosmi, ... assetata
ed ebbra di conoscenza.... di divenire essa stessa la cosa in cui si proietta affamata, avida di aderire
pure sostanzialmente all'oggetto del suo sentire, per conoscerlo fin nel suo intimo, per SAPERLO tutto
intero... conformandovisi in assoluta identificazione fino a conoscerlo appieno su ogni suo piano
dimensionale, dalla terra al sommo dei cieli e ritorno... e ancora, e ancora ...!
E quindi la domanda e': ma.... alla fin fine....siamo noi poeti e noi pensatori umani non robotizzati gli
idioti .... o quegli altri che non ritengono che il conoscere sia di per se stesso conoscenza .... e conoscenza
assoluta, come di se stessi, quando noi stessi ci ascoltiamo a fondo ?
Il fatto e; che vi e' chi, questo, lo sa bene. E non a caso vorrebbero rubare all'essere umano proprio lei.... essa....
l'Anima. E sostituirla mentalmente con rappresentazioni alfo-numeriche.... ovvero astrazioni.... rappresentazioni
del superficiale.
Ma astrazione non e' conoscenza. NON sono conoscenza le rappresentazioni.

-------------
Massimo 456b
2024-02-15 08:55:19 UTC
Permalink
e dunque caro Loris

e' possibile che in alcuni casi sia necessario essere stronzi?

Come vedi oltre al linguaggio naturale ci ho aggiunto un po' di
ironica santa benedetta volgarita'.

Io direi che in alcuni casi sia possibile che sia necessario:
quando non ci sono piu' alternative alla gentilezza o quando e'
necessario per non perdere autostima di fronte a un bullo da
tastiera per esempio.
Ma quanti casi nella vita ci impongono tale necessita'?
Vedi, stronzi si nasce, ma e' possibile diventarlo.
Temporaneamente ma necessariamente. Sempre che uno che non parla
piu' per mezzi termini sia veramente stronzo. O forse e' solo
giusto?
Seguendo i soliti insegnamenti del Maestro Gesu', si', in alcuni
casi e' possibile che sia necessario essere stronzi. Con chi si
ostina nel male.
Magari non e' esistito veramente, ma mica era fesso.
--
----Android NewsGroup Reader----
https://piaohong.s3-us-west-2.amazonaws.com/usenet/index.html
Loris Dalla Rosa
2024-02-15 10:12:59 UTC
Permalink
Post by Massimo 456b
e dunque caro Loris
e' possibile che in alcuni casi sia necessario essere stronzi?
Come vedi oltre al linguaggio naturale ci ho aggiunto un po' di
ironica santa benedetta volgarita'.
quando non ci sono piu' alternative alla gentilezza o quando e'
necessario per non perdere autostima di fronte a un bullo da
tastiera per esempio.
Ma quanti casi nella vita ci impongono tale necessita'?
Vedi, stronzi si nasce, ma e' possibile diventarlo.
Temporaneamente ma necessariamente. Sempre che uno che non parla
piu' per mezzi termini sia veramente stronzo. O forse e' solo
giusto?
Seguendo i soliti insegnamenti del Maestro Gesu', si', in alcuni
casi e' possibile che sia necessario essere stronzi. Con chi si
ostina nel male.
Magari non e' esistito veramente, ma mica era fesso.
:-). Posso sottoscrivere, e' possibile che in alcuni casi sia necessario
essere stronzi. Ma questo in modalita' deontica!:-).
Ciao,
Loris





--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus
Prima Idea
2024-02-11 23:38:14 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il turco", diventato troppo lungo.
E' un po' complesso e non mi sento di chiedere a tutti la pazienza di
seguirlo fino in fondo:-)]
Vedo che la discussione sulla questione delle due nozioni del
possibile (la seconda, quella allargata che rende impossibile al
possibile di includere il necessario, è costituita da una
*congiunzione*, come hai notato) è ripresa e a riguardo non avrei nulla
da aggiungere a quanto già detto nel thread su Cacciari: un filosofo
non può limitarsi a disambiguare usando segni differenti.
E' proprio Cacciari, il 3D che hai aperto con la citazione da
"Metafisica concreta", il lontano progenitore di questo e del precedente.
Una parte significativa della citazione, perche' gia' introduttiva della
<<Formalmente, possiamo dire necessario ciò che è *impossibile* non sia
sia. Opposto al necessario sta perciò l'impossibile. Non certo il
*contingente*; infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove
valga ecco che esso risulta necessario. Non vi è alcuna contrarietà tra
necessario e contingente; essi appaiono chiaramente compatibili.>>
La questione che si e' sviluppata si e' incentrata sul significato di
"possibile" in relazione con i futuri contingenti, i particolare sulla
definizione da darne: la definizione A: "possibile e' cio' che non e'
necessario che non sia" (o, in modo esplicitamente vero-funzionale,
"...che non e' necessariamente falso") e la deefinizione B, che e' la A
con l'aggiunta della coordinata "e che non e' necessario che sia".
Posi dice giustamente che la A e' quella che normalmente usano i logici,
io sostengo la B, sollevando la questione se essa sia sufficiente per
evitare una ambiguita' che sarebbe esiziale per la precisione logica e
consistente nel possibile fraintendimento tra possibile in senso
allargato (come l'hai chiamato tu) e nel senso del possibile del
necessario (l'"ab esse ad posset valet consequentia" della Scolastica).
Un'ambiguita' che puo' generare una contraddizione e imputabile allo
stesso Aristotele, o perlomeno sospettabile in qualche passo del "De
interpretatione", non avendo ben distinto anche nominalmente i due sensi
del possibile. Questa la questione in sintesi. In tale contesto io ho
insistito, tenendo sempre presente il problema dei futuribili e un po'
scimmiottando ironicamente la "metafisica concreta" di Cacciari, per
dare alla questione un taglio di *logica* concreta, aderente alla
realta' fattuale, in cui le modalita' logiche abbiano un carattere
vero-funzionale, evitando il proliferare di modalita' di secondo, terzo
o di qualunque altro grado. Ho posto insomma il problema della riduzione
delle modalita' a quelle di primo grado, e a questo punto ho introdotto
come esempio quella formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
◊◻P = ◻P
Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che di
logica.
Ma una soluzione alternativa ci sarebbe, di tipo di semantica dei
simboli modali: se col segno ◊ si intendesse la possibilita' del
*necessario*, non ci sarebbe piu' alcun paradosso vero o apparente.
Infatti se P e' possibilmente necessario (cioe' possibile nel senso
della possibilita' del necessario), esso e' necessario in almeno un
mondo possibile; percio' e' necessario in tutti i mondi possibili e di
conseguenza vero in tutti essi. (Questo renderebbe il simbolo ◊
superfluo? No, perche' p.e. la necessita' che tutti gli uomini sono
mortali implica la possibilita' del necessario che Tizio sia mortale,
che Caio lo sia ecc.)
Questo pero' renderebbe di natura del tutto diversa la nostra questione,
perche' si dovrebbe rifiutare la def.B, ed essendo (la questione) legata
all'incertezza dei futuri contingenti, e' di natura *epistemica*, mentre
con quanto detto diventa esclusivamente *ontologica* (come lo diventa
immediatamente per il Cacciari della citazione all'inizio di questo
lungo post). Sul piano ontologico l'epistemologia non ha cittadinanza,
ma nemmeno l'inverso
Ma a proposito di letture intuitive o meno di una stessa formula, non
trovi che se rimpiazziamo il termine a sinistra della formula
dimostrabile in S5 'Poss(Nec(P))=Nec(P)' con la nozione logica di
possibilità come non necessità dell'opposto svanisce ogni intuitività?
Infatti l'intuizione per cui si può capire perché se è possibile che
qualcosa sia necessario allora è necessario non funziona più se al
posto di "è possibile che qualcosa sia necessario" mettiamo "non è
necessario che qualcosa non sia necessario". Per quale ragione se non è
necessario che qualcosa non sia necessario, quella cosa dovrebbe
essere >necessaria? Un problema simile si verifica a proposito della
famosa formula della Barcan ("se è possibile che qualcosa esiste, esiste
qualcosa che è possibile"), anch'essa dimostrabile in S5. Qui è la sua
inversa ad essere intuitiva, mentre non lo è affatto la formula, che fa
passare dalla possibilità de dicto a quella de re. Ci vuole poco per
farla interagire con il problema dell'essere perfettissimo D: se è
possibile che esista x tale che x=D, allora *esiste* x tale che è
possibile che x=D.
Beh Marco, ho detto sopra molte cose che avevo intenzione di dire qui
sotto. Mi sembra inutile ripeterle in altro modo. Tutto questo, a
proposito di filosofi, quello dell'essere perfettissimo cui alludi, puo'
gettare l'ombra di una petizione di principio sulla sua famosa
dimostrazione. Ma adesso non e' il caso di allungare ancora questo post
(che non rileggo, per cui scusami se c'e' qualche refuso)
Un saluto,
Loris
ideaprima

perooo' .... vabbe' Marco e Posi, ma tu non puoi porre all'attenzione pure di altri, me compresa, delle congetture interpretative tutte tue con le quali chi legge (io, ad esempio) non e' d'accordo, anticipando pero' gia' da prima (di fatto col tuo atteggiamento) che e' inutile che vengano espresse opinioni proprie circa le idee tue dato che tu delle opinioni di altri te ne fai un baffo poiche' manco leggi chi manco consideri. Perche' cosi' verrebbe voglia non solo di contestarti circa quanto riguarda l'argomento in questione , ma pure di ....... mandarti laddove meglio ti si confa''!.... e sai dove.
Loris Dalla Rosa
2024-02-12 08:25:30 UTC
Permalink
Post by Prima Idea
Post by Loris Dalla Rosa
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il turco", diventato troppo lungo.
E' un po' complesso e non mi sento di chiedere a tutti la pazienza di
seguirlo fino in fondo:-)]
Vedo che la discussione sulla questione delle due nozioni del
possibile (la seconda, quella allargata che rende impossibile al
possibile di includere il necessario, è costituita da una
*congiunzione*, come hai notato) è ripresa e a riguardo non avrei nulla
da aggiungere a quanto già detto nel thread su Cacciari: un filosofo
non può limitarsi a disambiguare usando segni differenti.
E' proprio Cacciari, il 3D che hai aperto con la citazione da
"Metafisica concreta", il lontano progenitore di questo e del precedente.
Una parte significativa della citazione, perche' gia' introduttiva della
<<Formalmente, possiamo dire necessario ciò che è *impossibile* non sia
sia. Opposto al necessario sta perciò l'impossibile. Non certo il
*contingente*; infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove
valga ecco che esso risulta necessario. Non vi è alcuna contrarietà tra
necessario e contingente; essi appaiono chiaramente compatibili.>>
La questione che si e' sviluppata si e' incentrata sul significato di
"possibile" in relazione con i futuri contingenti, i particolare sulla
definizione da darne: la definizione A: "possibile e' cio' che non e'
necessario che non sia" (o, in modo esplicitamente vero-funzionale,
"...che non e' necessariamente falso") e la deefinizione B, che e' la A
con l'aggiunta della coordinata "e che non e' necessario che sia".
Posi dice giustamente che la A e' quella che normalmente usano i logici,
io sostengo la B, sollevando la questione se essa sia sufficiente per
evitare una ambiguita' che sarebbe esiziale per la precisione logica e
consistente nel possibile fraintendimento tra possibile in senso
allargato (come l'hai chiamato tu) e nel senso del possibile del
necessario (l'"ab esse ad posset valet consequentia" della Scolastica).
Un'ambiguita' che puo' generare una contraddizione e imputabile allo
stesso Aristotele, o perlomeno sospettabile in qualche passo del "De
interpretatione", non avendo ben distinto anche nominalmente i due sensi
del possibile. Questa la questione in sintesi. In tale contesto io ho
insistito, tenendo sempre presente il problema dei futuribili e un po'
scimmiottando ironicamente la "metafisica concreta" di Cacciari, per
dare alla questione un taglio di *logica* concreta, aderente alla
realta' fattuale, in cui le modalita' logiche abbiano un carattere
vero-funzionale, evitando il proliferare di modalita' di secondo, terzo
o di qualunque altro grado. Ho posto insomma il problema della riduzione
delle modalita' a quelle di primo grado, e a questo punto ho introdotto
come esempio quella formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
◊◻P = ◻P
Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che di
logica.
Ma una soluzione alternativa ci sarebbe, di tipo di semantica dei
simboli modali: se col segno ◊ si intendesse la possibilita' del
*necessario*, non ci sarebbe piu' alcun paradosso vero o apparente.
Infatti se P e' possibilmente necessario (cioe' possibile nel senso
della possibilita' del necessario), esso e' necessario in almeno un
mondo possibile; percio' e' necessario in tutti i mondi possibili e di
conseguenza vero in tutti essi. (Questo renderebbe il simbolo ◊
superfluo? No, perche' p.e. la necessita' che tutti gli uomini sono
mortali implica la possibilita' del necessario che Tizio sia mortale,
che Caio lo sia ecc.)
Questo pero' renderebbe di natura del tutto diversa la nostra questione,
perche' si dovrebbe rifiutare la def.B, ed essendo (la questione) legata
all'incertezza dei futuri contingenti, e' di natura *epistemica*, mentre
con quanto detto diventa esclusivamente *ontologica* (come lo diventa
immediatamente per il Cacciari della citazione all'inizio di questo
lungo post). Sul piano ontologico l'epistemologia non ha cittadinanza,
ma nemmeno l'inverso
Ma a proposito di letture intuitive o meno di una stessa formula, non
trovi che se rimpiazziamo il termine a sinistra della formula
dimostrabile in S5 'Poss(Nec(P))=Nec(P)' con la nozione logica di
possibilità come non necessità dell'opposto svanisce ogni intuitività?
Infatti l'intuizione per cui si può capire perché se è possibile che
qualcosa sia necessario allora è necessario non funziona più se al
posto di "è possibile che qualcosa sia necessario" mettiamo "non è
necessario che qualcosa non sia necessario". Per quale ragione se non è
necessario che qualcosa non sia necessario, quella cosa dovrebbe
essere >necessaria? Un problema simile si verifica a proposito della
famosa formula della Barcan ("se è possibile che qualcosa esiste, esiste
qualcosa che è possibile"), anch'essa dimostrabile in S5. Qui è la sua
inversa ad essere intuitiva, mentre non lo è affatto la formula, che fa
passare dalla possibilità de dicto a quella de re. Ci vuole poco per
farla interagire con il problema dell'essere perfettissimo D: se è
possibile che esista x tale che x=D, allora *esiste* x tale che è
possibile che x=D.
Beh Marco, ho detto sopra molte cose che avevo intenzione di dire qui
sotto. Mi sembra inutile ripeterle in altro modo. Tutto questo, a
proposito di filosofi, quello dell'essere perfettissimo cui alludi, puo'
gettare l'ombra di una petizione di principio sulla sua famosa
dimostrazione. Ma adesso non e' il caso di allungare ancora questo post
(che non rileggo, per cui scusami se c'e' qualche refuso)
Un saluto,
Loris
ideaprima
perooo' .... vabbe' Marco e Posi, ma tu non puoi porre all'attenzione pure di altri, me compresa, delle congetture interpretative tutte tue con le quali chi legge (io, ad esempio) non e' d'accordo, anticipando pero' gia' da prima (di fatto col tuo atteggiamento) che e' inutile che vengano espresse opinioni proprie circa le idee tue dato che tu delle opinioni di altri te ne fai un baffo poiche' manco leggi chi manco consideri. Perche' cosi' verrebbe voglia non solo di contestarti circa quanto riguarda l'argomento in questione , ma pure di ....... mandarti laddove meglio ti si confa''!.... e sai dove.
Lo vedi che non capisci? Ho forse detto che questo 3D e' riservato solo
a Marco e a posi, invitando altri ad astenersi dall'intervenire? Ho
detto invece che e' complesso, riassume una discussione che dura da
settimane, su concetti che non sono poi cosi' semplici; e soprattutto ho
praticamente detto che capirei se qualcuno spazientito mi mandasse, in
cuor suo, "laddove meglio mi si confa'" come dici tu. E adesso vediamo
se hai capito quell'inciso importante: "in cuor suo".
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
Prima Idea
2024-02-12 18:33:55 UTC
Permalink
Post by Loris Dalla Rosa
Post by Prima Idea
Post by Loris Dalla Rosa
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il turco", diventato troppo lungo.
E' un po' complesso e non mi sento di chiedere a tutti la pazienza di
seguirlo fino in fondo:-)]
Vedo che la discussione sulla questione delle due nozioni del
possibile (la seconda, quella allargata che rende impossibile al
possibile di includere il necessario, è costituita da una
*congiunzione*, come hai notato) è ripresa e a riguardo non avrei nulla
da aggiungere a quanto già detto nel thread su Cacciari: un filosofo
non può limitarsi a disambiguare usando segni differenti.
E' proprio Cacciari, il 3D che hai aperto con la citazione da
"Metafisica concreta", il lontano progenitore di questo e del precedente.
Una parte significativa della citazione, perche' gia' introduttiva della
<<Formalmente, possiamo dire necessario ciò che è *impossibile* non sia
sia. Opposto al necessario sta perciò l'impossibile. Non certo il
*contingente*; infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove
valga ecco che esso risulta necessario. Non vi è alcuna contrarietà tra
necessario e contingente; essi appaiono chiaramente compatibili.>>
La questione che si e' sviluppata si e' incentrata sul significato di
"possibile" in relazione con i futuri contingenti, i particolare sulla
definizione da darne: la definizione A: "possibile e' cio' che non e'
necessario che non sia" (o, in modo esplicitamente vero-funzionale,
"...che non e' necessariamente falso") e la deefinizione B, che e' la A
con l'aggiunta della coordinata "e che non e' necessario che sia".
Posi dice giustamente che la A e' quella che normalmente usano i logici,
io sostengo la B, sollevando la questione se essa sia sufficiente per
evitare una ambiguita' che sarebbe esiziale per la precisione logica e
consistente nel possibile fraintendimento tra possibile in senso
allargato (come l'hai chiamato tu) e nel senso del possibile del
necessario (l'"ab esse ad posset valet consequentia" della Scolastica).
Un'ambiguita' che puo' generare una contraddizione e imputabile allo
stesso Aristotele, o perlomeno sospettabile in qualche passo del "De
interpretatione", non avendo ben distinto anche nominalmente i due sensi
del possibile. Questa la questione in sintesi. In tale contesto io ho
insistito, tenendo sempre presente il problema dei futuribili e un po'
scimmiottando ironicamente la "metafisica concreta" di Cacciari, per
dare alla questione un taglio di *logica* concreta, aderente alla
realta' fattuale, in cui le modalita' logiche abbiano un carattere
vero-funzionale, evitando il proliferare di modalita' di secondo, terzo
o di qualunque altro grado. Ho posto insomma il problema della riduzione
delle modalita' a quelle di primo grado, e a questo punto ho introdotto
come esempio quella formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
◊◻P = ◻P
Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che di
logica.
Ma una soluzione alternativa ci sarebbe, di tipo di semantica dei
simboli modali: se col segno ◊ si intendesse la possibilita' del
*necessario*, non ci sarebbe piu' alcun paradosso vero o apparente.
Infatti se P e' possibilmente necessario (cioe' possibile nel senso
della possibilita' del necessario), esso e' necessario in almeno un
mondo possibile; percio' e' necessario in tutti i mondi possibili e di
conseguenza vero in tutti essi. (Questo renderebbe il simbolo ◊
superfluo? No, perche' p.e. la necessita' che tutti gli uomini sono
mortali implica la possibilita' del necessario che Tizio sia mortale,
che Caio lo sia ecc.)
Questo pero' renderebbe di natura del tutto diversa la nostra questione,
perche' si dovrebbe rifiutare la def.B, ed essendo (la questione) legata
all'incertezza dei futuri contingenti, e' di natura *epistemica*, mentre
con quanto detto diventa esclusivamente *ontologica* (come lo diventa
immediatamente per il Cacciari della citazione all'inizio di questo
lungo post). Sul piano ontologico l'epistemologia non ha cittadinanza,
ma nemmeno l'inverso
Ma a proposito di letture intuitive o meno di una stessa formula, non
trovi che se rimpiazziamo il termine a sinistra della formula
dimostrabile in S5 'Poss(Nec(P))=Nec(P)' con la nozione logica di
possibilità come non necessità dell'opposto svanisce ogni intuitività?
Infatti l'intuizione per cui si può capire perché se è possibile che
qualcosa sia necessario allora è necessario non funziona più se al
posto di "è possibile che qualcosa sia necessario" mettiamo "non è
necessario che qualcosa non sia necessario". Per quale ragione se non è
necessario che qualcosa non sia necessario, quella cosa dovrebbe
essere >necessaria? Un problema simile si verifica a proposito della
famosa formula della Barcan ("se è possibile che qualcosa esiste, esiste
qualcosa che è possibile"), anch'essa dimostrabile in S5. Qui è la sua
inversa ad essere intuitiva, mentre non lo è affatto la formula, che fa
passare dalla possibilità de dicto a quella de re. Ci vuole poco per
farla interagire con il problema dell'essere perfettissimo D: se è
possibile che esista x tale che x=D, allora *esiste* x tale che è
possibile che x=D.
Beh Marco, ho detto sopra molte cose che avevo intenzione di dire qui
sotto. Mi sembra inutile ripeterle in altro modo. Tutto questo, a
proposito di filosofi, quello dell'essere perfettissimo cui alludi, puo'
gettare l'ombra di una petizione di principio sulla sua famosa
dimostrazione. Ma adesso non e' il caso di allungare ancora questo post
(che non rileggo, per cui scusami se c'e' qualche refuso)
Un saluto,
Loris
ideaprima
perooo' .... vabbe' Marco e Posi, ma tu non puoi porre all'attenzione pure di altri, me compresa, delle congetture interpretative tutte tue con le quali chi legge (io, ad esempio) non e' d'accordo, anticipando pero' gia' da prima (di fatto col tuo atteggiamento) che e' inutile che vengano espresse opinioni proprie circa le idee tue dato che tu delle opinioni di altri te ne fai un baffo poiche' manco leggi chi manco consideri. Perche' cosi' verrebbe voglia non solo di contestarti circa quanto riguarda l'argomento in questione , ma pure di ....... mandarti laddove meglio ti si confa''!.... e sai dove.
Lo vedi che non capisci? Ho forse detto che questo 3D e' riservato solo
a Marco e a posi, invitando altri ad astenersi dall'intervenire? Ho
detto invece che e' complesso, riassume una discussione che dura da
settimane, su concetti che non sono poi cosi' semplici; e soprattutto ho
praticamente detto che capirei se qualcuno spazientito mi mandasse, in
cuor suo, "laddove meglio mi si confa'" come dici tu. E adesso vediamo
se hai capito quell'inciso importante: "in cuor suo".
--
l'hai scritto.
E ti faccio presente che i miei interventi, che tu disdegni, se tu li leggessi e vi riflettessi ti aiuterebbero
magari a comprendere cose che ritieni esssere complesse, e che invece liquidi gia' da subito snobbandomi
scioccamente, ... accusandomi altretrettanto scioccamente di metafisica e misticismo.... ovvero nell' intento
di usare scusanti sciocche - e per nulla vere - per impedirmi di esporre cio' che ritieni non far quadrare il cerchio
tuo inquadrabile ma sul quale e' tanto eccitante stare a scontrarsi tra maschietti come al tempo del liceo. .
Per cui, ne deduco che tu intenda assolutamente e per partito preso rimanertene avvitato nelle convinzioni
sballate tue. Beh... peggio per te.
Marco V.
2024-02-21 19:46:06 UTC
Permalink
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il turco", diventato troppo lungo. E' un
po' complesso e non mi sento di chiedere a tutti la pazienza di seguirlo fino
in fondo:-)]
Vedo che la discussione sulla questione delle due nozioni del possibile (la
seconda, quella allargata che rende impossibile al possibile di includere
il necessario, è costituita da una
*congiunzione*, come hai notato) è ripresa e a riguardo non avrei nulla
da aggiungere a quanto già detto nel thread su Cacciari: un filosofo non
può limitarsi a disambiguare usando segni differenti.
E' proprio Cacciari, il 3D che hai aperto con la citazione da "Metafisica
concreta", il lontano progenitore di questo e del precedente.
Una parte significativa della citazione, perche' gia' introduttiva della
<<Formalmente, possiamo dire necessario ciò che è *impossibile* non sia sia.
Opposto al necessario sta perciò l'impossibile. Non certo il *contingente*;
infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove valga ecco che esso
risulta necessario. Non vi è alcuna contrarietà tra necessario e contingente;
essi appaiono chiaramente compatibili.>>
La questione che si e' sviluppata si e' incentrata sul significato di
"possibile" in relazione con i futuri contingenti, i particolare sulla
definizione da darne: la definizione A: "possibile e' cio' che non e'
necessario che non sia" (o, in modo esplicitamente vero-funzionale, "...che
non e' necessariamente falso") e la deefinizione B, che e' la A con
l'aggiunta della coordinata "e che non e' necessario che sia".
Posi dice giustamente che la A e' quella che normalmente usano i logici, io
sostengo la B, sollevando la questione se essa sia sufficiente per evitare
una ambiguita' che sarebbe esiziale per la precisione logica e consistente
nel possibile fraintendimento tra possibile in senso allargato (come l'hai
chiamato tu) e nel senso del possibile del necessario (l'"ab esse ad posset
valet consequentia" della Scolastica). Un'ambiguita' che puo' generare una
contraddizione e imputabile allo stesso Aristotele, o perlomeno sospettabile
in qualche passo del "De interpretatione", non avendo ben distinto anche
nominalmente i due sensi del possibile. Questa la questione in sintesi. In
tale contesto io ho insistito, tenendo sempre presente il problema dei
futuribili e un po' scimmiottando ironicamente la "metafisica concreta" di
Cacciari, per dare alla questione un taglio di *logica* concreta, aderente
alla realta' fattuale, in cui le modalita' logiche abbiano un carattere
vero-funzionale, evitando il proliferare di modalita' di secondo, terzo o di
qualunque altro grado. Ho posto insomma il problema della riduzione delle
modalita' a quelle di primo grado, e a questo punto ho introdotto come
esempio quella formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
◊◻P = ◻P
Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di quello
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che di
logica.
Ma una soluzione alternativa ci sarebbe, di tipo di semantica dei simboli
modali: se col segno ◊ si intendesse la possibilita' del *necessario*, non ci
sarebbe piu' alcun paradosso vero o apparente.
Infatti se P e' possibilmente necessario (cioe' possibile nel senso della
possibilita' del necessario), esso e' necessario in almeno un mondo
possibile; percio' e' necessario in tutti i mondi possibili e di conseguenza
vero in tutti essi. (Questo renderebbe il simbolo ◊ superfluo? No, perche'
p.e. la necessita' che tutti gli uomini sono mortali implica la possibilita'
del necessario che Tizio sia mortale, che Caio lo sia ecc.)
Questo pero' renderebbe di natura del tutto diversa la nostra questione,
perche' si dovrebbe rifiutare la def.B, ed essendo (la questione) legata
all'incertezza dei futuri contingenti, e' di natura *epistemica*, mentre con
quanto detto diventa esclusivamente *ontologica* (come lo diventa
immediatamente per il Cacciari della citazione all'inizio di questo lungo
post). Sul piano ontologico l'epistemologia non ha cittadinanza, ma nemmeno
l'inverso
Ma a proposito di letture intuitive o meno di una stessa formula, non trovi
che se rimpiazziamo il termine a sinistra della formula dimostrabile in S5
'Poss(Nec(P))=Nec(P)' con la nozione logica di possibilità come non
necessità dell'opposto svanisce ogni intuitività? Infatti l'intuizione per
cui si può capire perché se è possibile che qualcosa sia necessario allora
è necessario non funziona più se al posto di "è possibile che qualcosa sia
necessario" mettiamo "non è
necessario che qualcosa non sia necessario". Per quale ragione se non è
necessario che qualcosa non sia necessario, quella cosa dovrebbe
essere >necessaria? Un problema simile si verifica a proposito della famosa
formula della Barcan ("se è possibile che qualcosa esiste, esiste
qualcosa che è possibile"), anch'essa dimostrabile in S5. Qui è la sua
inversa ad essere intuitiva, mentre non lo è affatto la formula, che fa
passare dalla possibilità de dicto a quella de re. Ci vuole poco per
farla interagire con il problema dell'essere perfettissimo D: se è
possibile che esista x tale che x=D, allora *esiste* x tale che è possibile
che x=D.
Beh Marco, ho detto sopra molte cose che avevo intenzione di dire qui sotto.
Mi sembra inutile ripeterle in altro modo. Tutto questo, a proposito di
filosofi, quello dell'essere perfettissimo cui alludi, puo' gettare l'ombra
di una petizione di principio sulla sua famosa dimostrazione. Ma adesso non
e' il caso di allungare ancora questo post (che non rileggo, per cui scusami
se c'e' qualche refuso)
Un saluto,
Loris
Ciao Loris, torno solo ora sul ng, causa drastica "riduzione" (del
tempo). Dici che sul piano ontologico l'epistemologia, e dunque in
generale le questioni epistemiche (cioè attinenti agli stati
cognitivi), non hanno cittadinanza. Questo è vero, ma solamente nel
senso che su quel piano è posta la questione dell'*essere* della
soggettività; il punto critico di questa inclusione sta proprio nella
c.d. "formulazione psicologica" del pdnc, che ben conosci - quella per
cui è impossibile essere convinti di una tesi e del suo opposto. A mio
avviso def.B, che non implica formalmente alcuna contraddizione, si
fonda, al netto di qualunque banalizzazione etimologica, sulle nozioni
di "potenza" e "essere in potenza", così centrali nella "metafisica
concreta" aristotelica, quella che deve distinguere diversi sensi
dell'esssere... Ma avremo modo di parlarne dopo l'imminente 22/2,
sperando che chi lo desidera possa continuare a essere presente sul
vecchio usenet.

Buona serata,

Marco
Prima Idea
2024-02-22 02:24:19 UTC
Permalink
Post by Marco V.
[Questo 3D prosegue da "Dialogo con il turco", diventato troppo lungo. E' un
po' complesso e non mi sento di chiedere a tutti la pazienza di seguirlo fino
in fondo:-)]
Vedo che la discussione sulla questione delle due nozioni del possibile (la
seconda, quella allargata che rende impossibile al possibile di includere
il necessario, è costituita da una
*congiunzione*, come hai notato) è ripresa e a riguardo non avrei nulla
da aggiungere a quanto già detto nel thread su Cacciari: un filosofo non
può limitarsi a disambiguare usando segni differenti.
E' proprio Cacciari, il 3D che hai aperto con la citazione da "Metafisica
concreta", il lontano progenitore di questo e del precedente.
Una parte significativa della citazione, perche' gia' introduttiva della
<<Formalmente, possiamo dire necessario ciò che è *impossibile* non sia sia.
Opposto al necessario sta perciò l'impossibile. Non certo il *contingente*;
infatti il contingente vale *in qualcosa*, e là dove valga ecco che esso
risulta necessario. Non vi è alcuna contrarietà tra necessario e contingente;
essi appaiono chiaramente compatibili.>>
La questione che si e' sviluppata si e' incentrata sul significato di
"possibile" in relazione con i futuri contingenti, i particolare sulla
definizione da darne: la definizione A: "possibile e' cio' che non e'
necessario che non sia" (o, in modo esplicitamente vero-funzionale, "...che
non e' necessariamente falso") e la deefinizione B, che e' la A con
l'aggiunta della coordinata "e che non e' necessario che sia".
Posi dice giustamente che la A e' quella che normalmente usano i logici, io
sostengo la B, sollevando la questione se essa sia sufficiente per evitare
una ambiguita' che sarebbe esiziale per la precisione logica e consistente
nel possibile fraintendimento tra possibile in senso allargato (come l'hai
chiamato tu) e nel senso del possibile del necessario (l'"ab esse ad posset
valet consequentia" della Scolastica). Un'ambiguita' che puo' generare una
contraddizione e imputabile allo stesso Aristotele, o perlomeno sospettabile
in qualche passo del "De interpretatione", non avendo ben distinto anche
nominalmente i due sensi del possibile. Questa la questione in sintesi. In
tale contesto io ho insistito, tenendo sempre presente il problema dei
futuribili e un po' scimmiottando ironicamente la "metafisica concreta" di
Cacciari, per dare alla questione un taglio di *logica* concreta, aderente
alla realta' fattuale, in cui le modalita' logiche abbiano un carattere
vero-funzionale, evitando il proliferare di modalita' di secondo, terzo o di
qualunque altro grado. Ho posto insomma il problema della riduzione delle
modalita' a quelle di primo grado, e a questo punto ho introdotto come
esempio quella formula di riduzione di Lewis, controintuitiva e
◊◻P = ◻P
Intuitivamente piu' che paradossale e' un pasticciaccio piu' brutto di quello
◻◻P = ◻P, che e' lapalissiana, direi, e se le coppie ◊◻ e ◻◻ fossero
intercambiabili faremmo meglio ad occuparci di orticoltura invece che di
logica.
Ma una soluzione alternativa ci sarebbe, di tipo di semantica dei simboli
modali: se col segno ◊ si intendesse la possibilita' del *necessario*, non ci
sarebbe piu' alcun paradosso vero o apparente.
Infatti se P e' possibilmente necessario (cioe' possibile nel senso della
possibilita' del necessario), esso e' necessario in almeno un mondo
possibile; percio' e' necessario in tutti i mondi possibili e di conseguenza
vero in tutti essi. (Questo renderebbe il simbolo ◊ superfluo? No, perche'
p.e. la necessita' che tutti gli uomini sono mortali implica la possibilita'
del necessario che Tizio sia mortale, che Caio lo sia ecc.)
Questo pero' renderebbe di natura del tutto diversa la nostra questione,
perche' si dovrebbe rifiutare la def.B, ed essendo (la questione) legata
all'incertezza dei futuri contingenti, e' di natura *epistemica*, mentre con
quanto detto diventa esclusivamente *ontologica* (come lo diventa
immediatamente per il Cacciari della citazione all'inizio di questo lungo
post). Sul piano ontologico l'epistemologia non ha cittadinanza, ma nemmeno
l'inverso
Ma a proposito di letture intuitive o meno di una stessa formula, non trovi
che se rimpiazziamo il termine a sinistra della formula dimostrabile in S5
'Poss(Nec(P))=Nec(P)' con la nozione logica di possibilità come non
necessità dell'opposto svanisce ogni intuitività? Infatti l'intuizione per
cui si può capire perché se è possibile che qualcosa sia necessario allora
è necessario non funziona più se al posto di "è possibile che qualcosa sia
necessario" mettiamo "non è
necessario che qualcosa non sia necessario". Per quale ragione se non è
necessario che qualcosa non sia necessario, quella cosa dovrebbe
essere >necessaria? Un problema simile si verifica a proposito della famosa
formula della Barcan ("se è possibile che qualcosa esiste, esiste
qualcosa che è possibile"), anch'essa dimostrabile in S5. Qui è la sua
inversa ad essere intuitiva, mentre non lo è affatto la formula, che fa
passare dalla possibilità de dicto a quella de re. Ci vuole poco per
farla interagire con il problema dell'essere perfettissimo D: se è
possibile che esista x tale che x=D, allora *esiste* x tale che è possibile
che x=D.
Beh Marco, ho detto sopra molte cose che avevo intenzione di dire qui sotto.
Mi sembra inutile ripeterle in altro modo. Tutto questo, a proposito di
filosofi, quello dell'essere perfettissimo cui alludi, puo' gettare l'ombra
di una petizione di principio sulla sua famosa dimostrazione. Ma adesso non
e' il caso di allungare ancora questo post (che non rileggo, per cui scusami
se c'e' qualche refuso)
Un saluto,
Loris
Ciao Loris, torno solo ora sul ng, causa drastica "riduzione" (del
tempo). Dici che sul piano ontologico l'epistemologia, e dunque in
generale le questioni epistemiche (cioè attinenti agli stati
cognitivi), non hanno cittadinanza. Questo è vero, ma solamente nel
senso che su quel piano è posta la questione dell'*essere* della
soggettività; il punto critico di questa inclusione sta proprio nella
c.d. "formulazione psicologica" del pdnc, che ben conosci - quella per
cui è impossibile essere convinti di una tesi e del suo opposto. A mio
avviso def.B, che non implica formalmente alcuna contraddizione, si
fonda, al netto di qualunque banalizzazione etimologica, sulle nozioni
di "potenza" e "essere in potenza", così centrali nella "metafisica
concreta" aristotelica, quella che deve distinguere diversi sensi
dell'esssere... Ma avremo modo di parlarne dopo l'imminente 22/2,
sperando che chi lo desidera possa continuare a essere presente sul
vecchio usenet.
Buona serata,
Marco
ideaprima

in che senso "banalizzazione" etimologica?.... riferito a cosa?
o un' etimologia risale realmente al senso originale di un termine
oppure non e' etimologia.
Comunque.... mi interesserebbe partecipare alla discussione prossima
di cui dici. Mi faresti sapere come poterlo fare, perfavore?.... e grazie.
Loris Dalla Rosa
2024-02-22 10:04:15 UTC
Permalink
[...]
Post by Marco V.
Post by Loris Dalla Rosa
Ma a proposito di letture intuitive o meno di una stessa formula, non
trovi che se rimpiazziamo il termine a sinistra della formula
dimostrabile in S5 'Poss(Nec(P))=Nec(P)' con la nozione logica di
possibilità come non necessità dell'opposto svanisce ogni
intuitività? Infatti l'intuizione per cui si può capire perché se è
possibile che qualcosa sia necessario allora è necessario non
funziona più se al posto di "è possibile che qualcosa sia necessario"
mettiamo "non è
necessario che qualcosa non sia necessario". Per quale ragione se non è
 >necessario che qualcosa non sia necessario, quella cosa dovrebbe
essere >necessaria? Un problema simile si verifica a proposito della
famosa formula della Barcan ("se è possibile che qualcosa esiste, esiste
 >qualcosa che è possibile"), anch'essa dimostrabile in S5. Qui è la sua
inversa ad essere intuitiva, mentre non lo è affatto la formula, che fa
 >passare dalla possibilità de dicto a quella de re. Ci vuole poco per
farla interagire con il problema dell'essere perfettissimo D: se è
 >possibile che esista x tale che x=D, allora *esiste* x tale che è
possibile che x=D.
 >
Beh Marco, ho detto sopra molte cose che avevo intenzione di dire qui
sotto. Mi sembra inutile ripeterle in altro modo. Tutto questo, a
proposito di filosofi, quello dell'essere perfettissimo cui alludi,
puo' gettare l'ombra di una petizione di principio sulla sua famosa
dimostrazione. Ma adesso non e' il caso di allungare ancora questo
post (che non rileggo, per cui scusami se c'e' qualche refuso)
Ciao Loris, torno solo ora sul ng, causa drastica "riduzione" (del
tempo).
Ciao Marco, ben ritrovato allora.
Post by Marco V.
Dici che sul piano ontologico l'epistemologia, e dunque in
generale le questioni epistemiche (cioè attinenti agli stati cognitivi),
non hanno cittadinanza. Questo è vero, ma solamente nel senso che su
quel piano è posta la questione dell'*essere* della soggettività; il
punto critico di questa inclusione sta proprio nella c.d. "formulazione
psicologica" del pdnc, che ben conosci - quella per cui è impossibile
essere convinti di una tesi e del suo opposto. A mio avviso def.B, che
non implica formalmente alcuna contraddizione, si fonda, al netto di
qualunque banalizzazione etimologica, sulle nozioni di "potenza" e
"essere in potenza", così centrali nella "metafisica concreta"
aristotelica, quella che deve distinguere diversi sensi dell'esssere...
Ma avremo modo di parlarne dopo l'imminente 22/2, sperando che chi lo
desidera possa continuare a essere presente sul vecchio usenet.
I diversi sensi dell'essere, certo, cosi' centrali in Aristotele, la cui
trattazione del possibile e' metafisico-ontologica, che da' pero' luogo
ai vari sensi del "possibile" e che talvola generano ambiguita', come
nel caso della definizione del "contingente" (tò endechòmenon), da un
lato il possibile come "relazione indefinita" per cui qualcosa puo'
appartenere a qualcos'altro, ma puo' anche non appartenervi senza
contraddizione; dall'altro il contingente come cio' che si verifica per
lo piu', la regolarita' nella natura, come nelle forme di svipuppo
biologico; regolarita' che pur non essendo necessaria (ammettendo
deviazioni), e' tuttavia abbastanza stabile per essere oggetto di
scienza e di dimostrazione. Se vuoi approfondiamo, ma in definitiva la
difficolta' di attribuire a possibile e necessario uno statuto
ontologico preciso e' nella sua collocazione tra le sostanze eterne
trattate nel "De coelo" e quelle trattate nella "Fisica", degli enti
divenienti. Un mondo intermedio tra l'eternita' e il divenire? Preciso
allora che nella discussione con posi, almeno da parte mia, ho cercato
di mantenerla nell'ottica del problema dei futuri contingenti ("domani
ci sara' una battaglia navale", che poi e' diventato l'esempio piu'
comune "e' possibile che domani piova"), con la drastica riduzione
schematica del necessario a cio' che si constata empiricamente e
incontestabilmente. Con questa riduzione la questione non puo' che
essere esclusivamente epistemica, modalita' aletica e non doxastica (e'
quest'ultima che configurerebbe la contraddizione a livello
psicologico), non avendo il possibile un suo valore di verita', che
acquisisce solo di fronte alla verifica empirica. Diciamo,
metaforicamente, che il possibile e' un po' come il gatto di
Schroedinger, i cui valori di verita' sono in sovrapposizione quando il
gatto e' nel dispositivo: solo all'osservazione il gatto e' vivo o
morto. Solo una metafora su una metafora, sia chiaro, non e' che intenda
fare dei parallellismi del tutto impropri con la fisica quantistica.

Buona giornata,
Loris
--
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus dal software antivirus Avast.
www.avast.com
Continua a leggere su narkive:
Loading...